Ascolta

La seconda domenica di Quaresima, nel rito ambrosiano, è quella “della samaritana”, caratterizzata, ogni anno, dal ricco Vangelo giovanneo che  ce ne narra la vicenda, accompagnato, però, da diverse letture, che seguono un ciclo di tre anni.

Ascolta!

Ce lo ripete, spesso, il Vangelo, Ma è già nell’Antico Testamento che scopriamo come non ascoltare rappresenti il vizio atavico dell’essere umano. Non si spiegherebbe, altrimenti, questa insistenza divina affinché l’uomo tenda l’orecchio, mostrando la propria disponibilità all’ascolto. L’ascolto è necessario per ogni parabola. Senza l’ascolto nulla è possibile e tutto seguita all’ascoltare.

Ascoltare con gli occhi

Il libro del Deuteronomio, riprendendo l’usanza liturgica ebraica – tutt’oggi attestata e, anzi, negli ambienti più progressisti, estesa anche alle donne – di utilizzare delle scatoline con alcuni versi rilevanti della Torah all’interno, legati sulla fronte e sul braccio “come un pendaglio”. Segno d’amore, segno di fedeltà, come un anello di fidanzamento, un bracciale, una collana. Segno sul corpo, che indica un legame che è viscerale, che ti tocca nel profondo. Come un pendaglio davanti agli occhi, perché sapere di appartenere a Dio ti tocchi fino a darti fastidio: ti si ponga innanzi per ogni scelta, affinché tu risulti coerente con chi hai scelto d’essere.

La libertà dei figli di Dio

“Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione” (Deut 11, 26)

La Parola di Dio si è fatta carne, in Cristo. È divenuta scandalo, appesa al legno della Croce. Eppure, ancora oggi è vera questa affermazione. Nonostante Dio desideri il nostro bene, proprio perché ci ama, non può costringerci. Se c’è una cosa – l’unica! – in grado di fermare il perdono di Dio è solo il nostro non voler essere perdonati. Non c’è colpa che non possa essere perdonata, se non il nostro atteggiamento di rifiuto nei confronti della grazia di Dio e del suo perdono[1].

«Portate i pesi gli uni degli altri»[2]

“Portare i pesi”, in modo vicendevole: questo l’invito che ci giunge dall’apostolo, in un accorato appello ad operare il bene, qualora ne abbiamo l’occasione[3]. La prima immagine che mi viene è quella di una scalata in montagna: è quella l’occasione concreta in cui chi ha più forze soccorre chi ne ha meno, sottraendogli un po’ di peso dalla chiesa. Non è detto, però, che chi soccorre non necessiti – prima o poi – di essere, a propria volta soccorso. Capovolgimento ancora più vero a livello morale, dove nessuno, forse, può ritenersi “al sicuro”, convinto di essersi ormai attestato ad un “buon livello” di cui potersi dire soddisfatto: qualora così fosse, saprebbe con certezza che l’orgoglio è già in agguato, pronto ad aggredirlo nella sua debolezza; inoltre, difficile potersi attestare ad un livello accettabile, poiché è abbastanza prevedibile che, a fronte di un miglioramento in un ambito, emerga un problema altrove oppure si ripresenti un “vecchio nemico”, che rialza il capo, più agguerrito che mai.

La donna e il pozzo

Proprio questo parla l’episodio della Samaritana, che occupa, quasi  per intero, il capitolo quarto del Vangelo di Giovanni. La scelta, insolita per un Giudeo, di attraversare la Samaria. Per fermarsi lì, al pozzo di Giacobbe, a Sicar. Proprio verso mezzogiorno. Forse, per aiutare a gestire un “peso” troppo gravoso da portare.

Anche l’ora

Sono poche le annotazioni di tempo precise, nei Vangeli. Quello di Giovanni, tuttavia, si contraddistingue, per alcune di queste, rimaste famose, nella storia.  “Era circa mezzogiorno” (4,6) annota il discepolo amato. Già all’inizio, non si era dimenticato del pomeriggio in cui la sua strada incrociò quella del Nazareno: “erano circa le quattro del pomeriggio”[4].

Un dettaglio importante

La scena seguente ci fa comprendere l’importanza del dettaglio orario. Nell’assolata Samaria, andare a prendere l’acqua è una pessima idea. Significa dedicarsi ad un lavoro stancante, nell’ora più calda della giornata. Se non sei un folle, devi avere un ottimo motivo per farlo.

Una donna, in cerca d’amore

Il disvelarsi dell’identità della donna ci fa intuire quale potesse esserne il motivo, vale a dire: evitare le chiacchiere di paese che la sua storia personale, inevitabilmente, attiravano. Una donna che, dopo cinque mariti, convive con un altro uomo non passa di certo inosservato. Ma, se, agli occhi degli uomini non passa inosservato lo scandalo, agli occhi di Dio non sfugge ciò che la muove: la sua ricerca, spasmodica, inappagata d’amore, che ricorda le parole struggenti del vescovo d’Ippona: “Il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in Te”[5].

Una donna, trovata dall’Amore

Un uomo e una donna. Una donna che cercava l’amore e si trova ad imbattersi nell’Uomo-Dio Gesù, sfiancato dal viaggio, assettato ed incapace di attingere acqua. “Gesù aveva sete della sete di lei”, azzarda il Nazianzeno[6]. Non che fosse una finta! Gesù era veramente uomo e, sotto il sole, camminare rappresenta la stessa fatica che costituisce per ciascuno di noi… eppure, come all’inizio dei tempi, pare che, di fronte alla propria creatura, Gesù mostri in modo profondo la propria somiglianza che, di fronte alla proprie, si strugge fino alle viscere[7]. Fino a dimenticare la propria sete. Fino a dimenticare il motivo per cui s’era attardato al pozzo, lasciando andare altrove i discepoli. Se non è amore questo!

L’importanza di lasciarsi trovare

L’episodio intero ci ricorda l’importanza di essere aperti, per consentire che ogni tempo che viviamo possa diventare il tempo propizio per l’incontro che trasformi una semplice sete in un qualcosa di più, che va oltre il sensibile ed il comprensibile; qualcuno che riesce a far intra-vedere il senso della vita. Almeno, quanto basta a farci intuire che un senso vi sia e che non sia tutto – come a volte temiamo sia – un’illusione breve e fugace di felicità, incapace però di soddisfare il desiderio di gioia piena[8] che ci arde nel cuore.


[1] Rif. Mt 12, 31-32 / Mc 3, 28-29. Per approfondire.
[2] Gal 6, 2
[3] Gal 6, 10
[4] Gv 1, 39
[5] Confessioni, 1.1.5
[6] GREGORIUS NAZIANZENUS, Carmina moralia. XXXIII tetrastichae sententiae, Sententia 37, vv. 145-148, in PG 37, coll. 521-968: 938-939.
[7] Cfr. Is 16, 11
[8] Sal 16, 11


Vedi anche:

  1.  Grata felicità
  2. Ascolta e ricorda: sei libero!
  3. Rientro senz’anfora

Rif. letture festive ambrosiane nella II domenica di Quaresima, anno C (Dt 6, 4a; 11, 18-28; Gal 6, 1-10; Gv 4, 5-42)
Fonte immagine: Pexels


Una risposta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

My Agile Privacy
Privacy and Consent by My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: