Il razzismo è una brutta storia: c’è scritto persino nelle borse che chi esce dalla Feltrinelli porta in mano. Quasi a ricordare all’uomo distratto che nel terzo millennio il colore della pelle è ancora una discriminante atroce tra chi deve vincere o perdere, vivere o morire. C’era stato il tempo in cui negli stadi italiani regnava Ivan Il Terribile: il giorno dopo la Gazzetta dello Sport – indiscussa autorità sportiva – se ne uscì con una prima pagina emblematica. “Bestie” vennero definite Ivan e la sua Banda Bassotti che aveva scambiato l’Italia per una nuova Paperopoli. Ma le bestie non abitano solo fuori dai confini italiani, ce ne siamo accorti per l’ennesima volta l’altra sera durante la partita Italia – Romania. Le bestie sono anche dentro il “Cortile Italia”. D’altronde come si possono chiamare quattro beceri zoticoni che, dimenticando colpevolmente qual’è il senso dello sport, si mettono a imitare gli animali per sfottere italiani dalla pelle nera? Oltrechè bestie, mostrano di non conoscere neppure la letteratura sportiva della nostra nazione dove, contrariamente alle loro urla, certi momenti di gloria portano la firma di atleti dalla provenienza estera: dalle grandissime prestazioni di Fiona May alla magia dei salti di Andrew Howe, dal salto triplo di Magdelin Martinez alle possenti cavalcate nel basket di Dan Gay fino al vessillo italiano portato a Sidney 2000 da Carlton Myers, il primo atleta di colore a rappresentare l’Italia nei giochi a cinque cerchi.
Siccome l’Italia si vanta d’essere la patria del diritto – anche se ciò che và storto a volte potrebbe mettere in discussione tale preteso vanto – non può permettersi ad oltranza d’essere rappresentata nel mondo da questa tifoseria bestiale. L’ha capito e l’ha ripetuto in mondovisione il buon Cesare Prandelli: il futuro non sarà delle bestie, ma dovrà raccontare le gesta degli uomini. Sarebbe la mossa del secolo – sempre che il buon Mario Balotelli non ceda alle provocazioni prima del tempo – mettere sulla sua maglia la fascia di capitano in occasione della prossima partita della Nazionale. L’Italia intera capitanata da un italiano dalla pelle nera: profezia di un futuro in cui saranno quelli venuti dal Sud a salire al potere politico (l’America è sempre premonitrice nella storia), un futuro nel quale sarà il popolo nero a ri-evangelizzare una Chiesa stremata sotto le bordate di una mentalità con la quale a lungo ha convissuto, un futuro nel quale lo sport italiano chiederà aiuto ai suoi atleti diversamente bianchi.
Balotelli capitano non è solo una provocazione sportiva. Ma potrebbe diventare un ripasso generale della storia dell’uomo, dell’uomo-bestia italiano. Perchè più di qualcuno nell’Italia dei Nababbi tiene una macchia d’emigrazione nell’albero genealogico della sua famiglia. Tutto ciò è fierezza e non vergogna. L’Italia come incrocio di sangui, di lingue e di culture è una novità solo per chi della storia è un ignorante: non bastassero le foto dell’emigrazione e i racconti del colonialismo, sono le storie d’amore che da sempre dribblano i confini dei pregiudizi e dei colori a ricordarcelo. E’ la discesca in campo di questa Italia – non solo sportiva – a ricordare alle bestie che ad essere fuori dalla storia non sono i popoli venuti da lontano, ma chi – a fortuna fatta – si vergogna di ricordare dove affonda l’etimologia del suo nome.
Loro bestie. Lui nostro capitano. E noi con una sciarpa attorno al collo. Dove scriverci: “Anch’io mi chiamo Mario Balotelli”. Per non dover rivangare quell’espressione che rese celebre un altro venuto dall’estero ad evangelizzare il nostro calcio. Quello che coniò l’espressione “prostituzione intellettuale”.