VincoloDiMandato
Succede anche stavolta. ma ogni volta non è “sempre uguale”, è un crescendo di sbigottimento, con l’augurio di essere in grado d’andare oltre al semplice sgomento, facile da vivere, ma difficile da rendere veramente fruttuoso.
È successo a Motta Visconti, un paese alle porte di Milano, forse più vicino a Pavia che al capoluogo lombardo. Mi domando se sia importante sapere dove avvengano certe cose. Se abbia qualche importanza o se, davvero, il male si nasconda proprio dove meno te l’aspetti, annidato proprio in quella famiglia “apparentemente felice”, secondo unanime descrizione. Una coppia giovane, sposata da poco, con due figli piccoli: Giulia di 5 anni e Gabriele di 20 mesi. La donna e i due bimbi sono stati trovati morti dal marito, tornato a casa dopo aver guardato la partita dell’Italia. Così disse. Salvo poi crollare all’interrogatorio, confessando tutto.
I giornali e i media sono pieni di dettagli su come sia avvenuta la mattanza. Descrivono con minuzia di dettagli la lucidità con cui tutto ciò è avvenuto. Leggetelo, se vi va, nessuno ve lo impedisce.

Ma più che sminuzzare le azioni criminali con cui è stata tolta la vita a tre innocenti, senza un movente che sembri valido. Perché scusate, quale mai potrebbe essere un motivo valido per uccidere la propria moglie e i propri bambini? Nonostante mi venga da pensare che nessuno sia sufficiente per giustificare un delitto simile, in ogni caso lontano dalla possibilità di comprensione al riguardo è che la motivazione sia quella della passione per una collega, per altro (a quanto pare) non ricambiata.
È davvero possibile illudersi che questa sua passione potesse mutare verso, in seguito ad un’azione del genere? Se davvero riteneva la famiglia un ostacolo, non bastava andarsene? Perché uccidere?
Forse questi interrogativi accompagnano l’uomo da sempre, perché comprendere i motivi che portino alla violenza cieca e assoluta, specie contro chi è indifeso e incapace di difendersi è qualcosa che attanaglia mente e cuore in unico vincolo.
Ma lascia tanto più spiazzati constatare che ciò avvenga proprio in famiglia, luogo di sicurezza dei piccoli, tanto che non accettano l’idea di dormire fuori casa perché lontani dalla sicurezza di esserne protetti. Questo omicidio si inserisce dentro alle certezze più ataviche, scardina le sicurezze più inavimobili, perché quei bimbi sono rimasti “traditi da chi li ha messi al mondo”: colpiti a tradimento, nel sonno, nella notte, nell’impossibilità assoluta di potersi difendere, da chi li avrebbe dovuti difendere da ogni male.
Queste tragedie tolgono il terreno sotto i piedi, perché spostano la domanda verso altri lidi.
Che fine ha fatto la “coppia felice”? È mai esistita? Come si può arrivare a tanto, verso chi si ama, se lo si ama? E se questo non è amore (come pensare che l’amore uccida?), come è possibile (se è possibile) difendersi da questo capovolgimento: ci sono segnali della fine dell’amore? E se l’amore può capovolgersi in modo così drammatico, ci si chiede addirittura: ma l’amore esiste davvero o ci illudiamo soltanto che esista e, da un giorno all’altro, potremmo essere catapultati in un incubo peggiore dei nostri sogni illusori?

«Ciò che la gente definisce amore è per lo più un abuso del termine, volto a nascondere la realtà della loro incapacità ad amare». (Erich Fromm, Avere o essere?, 1976)

Già. Cos’è l’amore? Lo cantano i poeti da millenni, ma forse ancora non lo sappiamo e magari non lo abbiamo mai saputo. Forse l’unica certezza che ne abbiamo è che ci serve più dell’ossigeno, al contrario di quanto dice il dottor House, e abbiamo deciso di dargli questo nome. Ma non è detto che, trovato il nome, sappiamo anche riconoscerlo e portarlo a compimento. Forse è vero: la libertà di cui disponiamo ci crea difficoltà che prima erano più facili da gestire: ci illudiamo di trovare l’amore, ma spesso non siamo in grado di riconoscerlo. Vaghiamo convinti di non averlo trovato, mentre magari ce l’abbiamo al fianco e non ce ne rendiamo sinceramente conto; siamo convinti di aver coronato il sogno della nostra vita e non ci accorgiamo che è solo una nostra illusione; corriamo dietro a nuovi amori e sentiamo il vecchio un peso, così che si amplifica la sensazione di aver sbagliato tutto, che non ci consente di vedere la bellezza che abita all’interno delle mura di casa.

«Oggi, noi chiamiamo amore l’unione di due solitudini: ognuno vive il suo sogno con proprie sensazioni e propri colori e vi trasporta l’immagine dell’altro. La relazione di due individualità così distinte non è una relazione propriamente detta, essa è costantemente minacciata dal pericolo della fusione. Chi vuole diventare “padrone dell’altro” arriva alla “negazione dell’altro” o peggio al “cannibalismo”. L’egoismo della passione impedisce di riconoscere nel partner un essere altro e il risultato è una sempre maggiore spinta alla separazione della coppia. Non sempre la crisi o la rottura costituiscono un’eventualità negativa, spesso, infatti, è proprio quello il momento del riconoscimento dell’esistenza dell’altro e della possibilità dell’inizio di una relazione sana» (Marc Augé, antropologo – sintesi)

“Negazione dell’altro”. Già, ecco cosa scatta nella ricerca di eliminare tutto ciò che è passato. «Ma non le bastava il divorzio?», chiede il magistrato. «No. Con il divorzio i figli restano».Già, restano. Quale negazione più radicale della morte, allora: tentativo (vano, in realtà), di arrivare all’eliminazione totale? Vano è, però, in verità, tale tentativo: brutale e malriuscito, perché è solo un’altra illusione di cancellare il passato, il ricordo e tutto ciò che si lega a quei corpi, ormai cadaveri. Non siamo solo composti biologici. La storia di ciascuno, intrecciandosi con quella degli altri, forma la Storia del Mondo. La storia siamo noi: non è solo una canzone, è la realtà. Le nostre scelte, i nostri sì o no quotidiana lasciano impressa nel terreno la nostra impronta; e non basta la morte a cancellare tutto ciò, come un colpo di spugna. Il ricordo resta. E, se serve, tormenta la coscienza. Perché un figlio non è tuo, ti è affidato. Anche se ci dà fastidio constatarlo, ci è inevitabile farlo, quando ci rendiamo conto che è profondamente diverso da noi.
Per assurdo, in un certo senso, una volta era più semplice. Si partiva quasi tutti dal presupposto che l’amore fosse solo convenienza, non si sceglieva il coniuge che accompagnava il resto della vita, si accettava una scelta altrui e si cercava di farsela piacere, per non impazzire. Non era possibile metterla in discussione, era necessario accettarla. In un modo o nell’altro, imparavi a conviverci: e, tutto sommato, pare che la storia non ci consegni un numero di eccessi esorbitante. non sembrano all’ordine del giorno gli omicidi o le stragi in famiglia.
Attenzione, non sto dicendo che questo fosse giusto, sto solo mettendo in luce che, molto tempo fa, c’erano presupposti diversi. Ora, la libertà è dalla nostra parte e persino i principi sposano le popolane. Il problema principale è ormai “per quanto tempo”, perché, come evidenziato dalla riflessione citata, si dà quasi per scontato, che “l’amore è eterno finché dura”: siamo dell’idea che, in fondo, ognuno abbia una data di scadenza e la vera pecca è non sapere prima, e con esattezza, quale sia.
L’innamoramento spesso falsa le percezioni e nasconde i problemi. Dopo sposati è forse ancora più difficile riprendere in mano un rapporto che l’abitudine o la noncuranza hanno, in qualche modo deteriorato, magari proprio a partire dalle falle iniziali, a cui abbiamo permesso impunemente di allargarsi. Se si innescano gli automatismi che ci fanno sentire in simbiosi, spesso è l’inizio della fine. Un pensiero diventa un chiodo fisso e nessuno ce lo leva dalla testa, diventa insistente come un tarlo. L’amore, sentimento reciproco per eccellenza, necessita una verifica di questa reciprocità. Proprio perché rappresenta, comunque, l’incontro di due individualità che hanno, giocoforza, sensazioni e percezioni mai sovrapponibili e solo nel dialogo incessante potranno raggiungere l’agognato equilibrio del reciproco squilibrio di due alterità che, sporgendosi l’una verso l’altra, raggiungono il compromesso supremo dell’amore.
Sì, forse sono un’inguaribile ottimista, ma credo che l’amore esista e sia necessario che esista. E molte volte è lontano dal suono dei violini e da petali di rosa a pioggia. In genere, è una passione di pazienze, brontolii, grattacapi, incomprensioni, di cui, standoci dentro ti pare, magari talvolta, di soffocare, ma, appena te ne allontani, comprendi che è lì che devi giocarti la tua esistenza, lì scommettere l’intera tua vita. Ci sono dettagli che talvolta sfuggono; se guardati dall’interno, paiono solo una matassa inestricabile di fili, buona solo a farti perdere il tempo e il sorriso: sono necessari altri occhi, per capire che, in mezzo a tutte le difficoltà che ogni vita, nessuna esclusa, c’è un disegno che ci riguarda. E già in questa semplice presenza risiede quella Bellezza che fa luce su tutto il resto e rende giustizia della bellezza di tutte quelle meraviglie che costellano i nostri attimi ma di cui di non riusciamo ad accorgerci ogni volta che siamo troppo protesi a cercare una via di fuga, nell’alternativa alla possibilità di abitarli.


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