Fu un agguato in piena regola. L’ennesimo, dopo quello di Betlemme, giusto appena prima di quello di Capernaum, di Cana. Preludio e condizione di molti altri, di tutti gli altri che farà accadere: fino a quello del Golgota, l’agguato che dissolse il Male frantumandone l’assurdità e svuotandolo della sua pretesa gradassa. Ancora a spingersi oltre, dove ad osare può solo il Cielo: l’agguato fatale della Risurrezione, la trappola benedetta dell’Ascensione, l’imboscata arroventata della Pentecoste. La sua, quella del Gesù Nazareno, fu una vita intera d’agguati, anche in agguato: «nelle crepe sta in agguato Dio» (Borges).
L’agguato del battesimo al Giordano. Senza raccomandazioni, come tutti, in fila da Giovanni per farsi sciacquare la testa con l’acqua. Pure oggi, come trent’anni addietro: l’attendevano a Gerusalemme, città d’intrighi e di nobiltà, e lui comparve a Betlemme, terra di periferia e mezza ignorata. L’immaginavano un gran-pezzo-d’uomo, per dar credito d’essere Figlio-di-Papà, e s’annunciò nelle carni ignude e impotenti di un bambino come tanti. Poi profugo invece che condottiero, discente invece che docente, apprendista di bottega piuttosto che uomo d’affari e di gloria. Tutto il contrario di ciò che il mondo s’attendeva da Lui, giusto per far tornare i conti e rimanere, fino all’osso, «segno di contraddizione» (Lc 2,34). Scelse i contrari, insomma, per educare ai sinonimi: il sinonimo di chi chi regna sarà chi serve, non chi comanda. Punto e a capo, come al Giordano: scelse di non scegliere nessun’altra prospettiva di quella che aveva scelto a Betlemme, ancor prima a Nazareth, identico al Padre ai tempi dell’Egitto dai faraoni paranoici: con gli ultimi, dalla parte loro, fianco a fianco coi peccatori. S’immerge nelle acque del fiume, come i tanti che accorrevano da Betsaida, identico agli amici che di lì a poco sarebbero diventati quelli più fidati, non i più santi. Anche lui, senza peccato, dentro all’acqua come chi aveva tanto peccato, come ogni pio israelita: non vanterà preferenze l’Uomo venuto a cancellare ogni parzialità. A Giovanni tremano i polsi: quando mai il docente va a scuola dal discente, il puro dall’impuro, l’argilla dal vasaio, la creatura dal Creatore? Eppure anche per lui, figlio di vecchiaia, è giunto lì, stazionando appena sotto le sue mani di battezzatore: perchè la profezia s’adempisse pienamente. Per dirgli, sotto gli occhi di tutti, ch’è stato amico fedele, un ambasciatore fidato, un uomo-tutto-d’un-pezzo. Per tributargli l’insigne effige di Precursore, in aeternum.
La voce che cala dall’alto è gagliarda: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,22). Il mondo l’udrà solo un’altra volta, poi saranno i segni a sgolarsi: al Giordano, poi sull’Ermon nel gran giorno della trasfigurazione. Sarà ancora imperativa, all’imperativo: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!» (Lc 9,35) Nella geografia dei Vangeli, il Giordano è il punto più basso, il monte Hermon il punto più alto. Negli estremi risuona la medesima voce: che tutto il mondo sia avvolto da questa novella e impari a conteggiarla nei suoi pensieri, anche nei calcoli. Non calcolare Dio nei propri sogni, sarà un daffare da furbastri disillusi: dal faraone ad Erode, su su fino ai loro ultimi nipotini, fino ai giorni nostri. S’incolonna con i peccatori, dunque, l’Uomo che non era e non aveva peccato: s’infila tra il loro lerciume con la candidezza dei puri, tra i malati con la salute del sano, tra i luridi con la nettezza di chi non ha macchia da sgrassare. A farsi battezzare anche lui, perchè battezzare un bambino è dichiarare guerra all’illustre Nemico: «Rinunciate a Satana, a tutte le sue opere, a tutte le sue seduzioni (Rinuncio!)” Noi abiuriamo a parole, lui s’intestardisce coi fatti: tenterà pure Cristo, che si lascerà tentare, appena dopo il Giordano. Gambe all’aria, non s’arrenderà. D’allora battezzarsi è andare in guerra. Scortati da un «Amore che fa parer volgari tutti gli altri amori» (Papini).
(da Il Sussidiario, 9 gennaio 2016)