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Si dice che il “caso” sia il nome di Dio, quando lavora in incognito. Tanto che qualcuno ha coniato il termine – significativo – di Dio-incidenze. Perché, per un credente, le coincidenze non esistono. Mai!
Aurelio Ambrogio nacque a Treviri, nel 339 o 340, nell’attuale Germania (che però, all’epoca, faceva parte della Gallia), da una famiglia cristiana di rango senatorio. Frequentò le migliori scuole di Roma ed intraprese la carriera amministrativa.
Noto per la sua capacità di ricomporre le fazioni in lotta fra loro, in un periodo in cui le acredini tra ariani e cristiani erano particolarmente aspre, il suo nome diventò particolarmente ricercato, quando fu necessario sostituire il vescovo di Milano.
La leggenda narra di un bambino che abbia gridato «Ambrogio vescovo!», dando origine all’acclamazione popolare, nei confronti dell’uomo.
Ambrogio si negò risolutamente, dal momento che non era stato ancora battezzato (a quei tempi si era soliti ricevere il Battesimo da adulti, usanza che Agostino criticherà aspramente, nelle sue Confessioni) e non aveva studiato teologia. Cercò così di sfuggire a questa scelta, sia fisicamente (allontanandosi da Milano), sia rovinandosi la reputazione, ordinando la tortura di alcuni imputati e frequentando prostitute.
Alla fine, però, in 8 giorni, fu battezzato e nominato vescovo, per volere dell’imperatore Flavio Valentiniano.

Fu uomo d’ascesi, ma anche attento alla liturgia. Vendette i propri beni ai poveri. Si dedicò allo studio ed alla predicazione e le sue omelie divennero famose in tutto il mondo.
La leggenda narra che la colonna di fronte alla piazza dell’omonima Basilica a Milano, conservi due fori, in quanto vi si confissero le corna del diavolo, durante una lotta avvenuta con il Santo. Testimonianza che chi fa il Bene non prenota mai la tranquillità per se stesso.
Le sue reliquie sono attualmente conservate nel capoluogo lombardo, nella Basilica che porta il suo nome, accanto alle spoglie di due martiri cristiani (Gervasio e Protasio), rinvenute dal vescovo stesso. La chiesa fu edificata in loro onore, per  volere di S. Ambrogio, affinché si potessero meglio venerarne le spoglie e, alla morte del santo vescovo (avvenuta nel 397), ospitò anche il suo corpo.
Il legame tra Ambrogio e Milano è molto forte. Significativo, per ciascuno di noi, ancor oggi, è il fatto che un semplice fedele, seppur dalle spiccate doti di prudenza e retorica, sia diventato il vescovo più importante di tutta la storia della Chiesa Milanese.
Ad Ambrogio devono molto non solo Milano, la sua Chiesa ed il rito ambrosiano, ma, in realtà, la Chiesa universale.
Fu a causa del suo intrattenersi ad un pellegrinaggio che, tutt’oggi, gli Ambrosiani dispongono di quattro giorni in più di Carnevale (la Quaresima inizia il lunedì successivo al Mercoledì delle Ceneri celebrato nel resto del mondo, poiché la Domenica, Pasqua settimanale, è bene non preveda riti penitenziali).
A lui si deve il canto antifonale, la preghiera cantata: invenzione nata per evitare che i fedeli si addormentassero durante le celebrazioni.
Perfino dopo la morte, si trova strategicamente accanto ad una delle più importanti feste mariane, quella dell’Immacolata Concezione, ricoprendo, anche dopo la morte, il ruolo di cerniera fra fazioni, accontentando il sacro dei fedeli, con il profano dei vacanzieri amanti degli sport invernali.
Ancora oggi, ambrosiano è aggettivo utilizzato per riferirsi alla città all’ombra della Madonnina e “Ambrogino d’oro” è il premio riservato ai milanesi che si sono distinti, negli anni, nei vari campi dell’umano: entrambi derivano dal nome di questo venerabile santo.
Oggi qualcuno lamenta che il nome “Ambrogio” non sia più in auge, sotto le guglie del Duomo. E l’ultimo di cui ci si ricordi a livello nazional-popolare è probabilmente l’indimenticato Ambrogio – maggiordomo che, diversi anni fa, spopolava nella pubblicità di una nota marca di cioccolatini. 
Ma c’è un motivo per tutti dovrebbero essere grati a S. Ambrogio. Il suo legame con Agostino d’Ippona. È infatti di fondamentale importanza il ruolo svolto dal Santo Vescovo nel riavvicinamento del filosofo alla fede cristiana, così a lungo invocato dalla madre, santa Monica.  E chiunque, persino chi conosce ben poco del santo africano, può comunque intuire quanto la retorica di Agostino, così vicina alla nostra sensibilità, abbia potuto giovare, in un’epoca di dispute dottrinali, alla causa cattolica.
L’inquieto filosofo, affascinato dal neoplatonismo e dal manicheismo, ha trovato nel Vescovo di Milano l’interlocutore ai suoi interrogativi e qui, dalle sue mani, ricevette il Battesimo di una nuova vita.
Il vescovo, nominato “coram populo” nonostante non fosse battezzato, ha condotto a questo Sacramento proprio il rinomato intellettuale, in un contrappasso che ha il sapore di un ricamo intessuto dall’Eterno, quando vuole prendersi gioco dei nostri progetti, delle nostre idee, dei nostri pensieri.
Ambrogio ed Agostino, dopo aver intrecciato le loro storie sul suolo milanese, hanno mantenuto traccia della loro vicinanza persino nella toponomastica, con due fermate metropolitane, sulla Linea 2 (S.Agostino – S. Ambrogio), che si susseguono, a un tiro di schioppo, quasi ad imperitura memoria che «l’amicizia nata in questo mondo si riallaccerà ancora, per non essere più separata» (S. Francesco di Sales).

(Solidando.net)


Fonte immagine: Forum “oltre il tuo orizzonte”

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