ricerca di autenticità, oltre le maschere

Peggio di Sodoma e Gomorra

Il Vangelo non regala parole dolci agli ascoltatori; almeno, a quelli di Corazin e di Betsaida, cui riserva niente meno che una maledizione, riconoscendo, per esse, al momento del giudizio finale, una sorte peggiore di quella di Sodoma e Gomorra, città analogicamente considerate sede di peccato e di ribellione a Dio, contro cui si scatena l’ira dell’Altissimo, nonostante il tentativo di intercessione di Abramo1. Ma, scopriremo con pazienza, è un invito all’autenticità.

L’ostinazione e la pervicacia

Perché parole così aspre, tanto da vedere queste due città trattate in modo peggiore di Sodoma e Gomorra? C’è una caparbietà che sprona a superare gli ostacoli, a migliorare, a perseguire la volontà di Dio (dopo averla cercata): ma c’è anche un’ostinazione nel male, che, a volte, è supportata da un’autogiustificazione (“sono fatto così, non posso farci nulla!”). È venuto Giovanni Battista, non è stato ascoltato, così neppure la predicazione di Cristo.

L’illusione di giustizia

Forse, qualche volta, anche a noi è rivolto il rimprovero di Cristo per pagare “la decima della menta, dell’aneto e del cumino”2, trascurando “la giustizia e l’amore di Dio”3.

Perché questa è la radice dell’ostinazione. Credere di essere nel giusto porta all’immobilità, esclude ogni possibile progresso. Spesso, operiamo un riduzionismo della fede cristiana. Ci illudiamo che basta osservare qualche regola e, quando noi ne osserviamo più degli altri, possiamo sentirci “a posto”.

Dopo una maledizione, una benedizione

«Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 12, 25)

Questo cambio repentino di registro è quasi destabilizzante. Possibile che, dopo una maledizione aspra e cocente, troviamo una benedizione rivolta al Padre Celeste?

I padri del deserto ci ammoniscono: la via della perfezione passa dalla misericordia per il cuore dell’altro: perché solo quando lascio che la misericordia inondi ogni cuore, anche quella che io ho ricevuto diventa feconda. Ma per questo bisogna imparare a farsi piccoli, riconoscere di essere bisognosi e di non bastare a se stessi.

Nel cuore di Dio, tramite il cuore dell’altro

Dio, che era (ed è) l’Onnipotente, ha scelto di mettere tra parentesi ogni potere, per farsi mendicante. Lui che conosceva tutto, ha scelto di mettersi alla scuola di Maria sua madre e poi di imparare un mestiere e di continuare la bottega di Giuseppe, il carpentiere di Nazaret.

È uno segli aspetti della vita di Cristo che ci rivela più delle sue parole quale sia lo stile di Dio. Trent’anni di nascondimento, a carpire i segreti dell’essere uomo-Dio tra gli uomini, osservando il corso delle stagioni e la sapienza contadina e artigiana di interagire.

Anche Dio, nel farsi uomo, si è fatto piccolo per poter chiamare a sé un’umanità in cerca di Dio, anche quando non riesce a pronunciarne il nome. Anche Dio ha scelto di imparare dai piccoli, per entrare, tramite i piccoli, nel cuore di ogni uomo.

La comfort-zone dell’etichetta

«Giudeo non è chi appare tale all’esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne» (Rm 2, 28)

C’è un’identità che, emergendo, segnala, nella necessità di emergere la propria fragilità. Noi uomini abbiamo di segni. Anche l’aspetto esteriore è importante, tanto è vero che dalla comunicazione non verbale può essere trasmessa la maggior parte dei messaggi che veicoliamo. Per questo motivo, non possiamo demonizzare l’esteriorità.

L’autenticità, oltre le etichette

Il problema, però, si manifesta, quando l’esteriorità è l’unica comunicazione possibile, svincolata da radici più profonde, corre il rischio, di rivelarsi solo una maschera, che nasconde le nostre insicurezze dietro un’identità manifestata solo esternamente. Giudeo è chi è circonciso? Forse. Il problema è un altro: perché la circoncisione? Se si recide il legame tra segno ed identità profonda, ogni riferimento vale poco più di un’esternazione pittoresca.

Sei mio, mi appartieni

Un segno nella carne dice l’appartenenza. In fondo, non è poi tanto lontano dalla mentalità odierna, quando riteniamo che incidere nella nostra carne il nome di chi amiamo abbia un significato profondo?

La circoncisione dice l’appartenenza a Dio. Ma è solo esteriore o esprime un desiderio profondo di comunione, che non può essere svincolato dal condividerlo, in comunità?

Se i segni che noi compiamo sono sono solo esteriori, dice Paolo, non sono “utili”4, perché, se hanno tagliato il proprio legame con il loro significato più profondo, sono come “cembali che tintinnano”5: ogni segno chiede di essere abitato per poter essere autentico. E, per poter essere autentico, richiede di raccontare di una relazione, magari rattoppata e un po’ claudicante, ma in cui il desiderio di amare è ancora vivo.


1 cfr. Gen 18, 23-33
2 Mt 23, 23
3 Lc 11, 42
4 Rm 2, 25
5 1Cor 13, 1


Rif. Seconda lettura e Vangelo nella XII domenica dopo Pentecoste (Rm 2, 12-28; Mt 12, 16-29)

Fonte immagine: Pixabay

Una risposta

  1. Maddalena sei una benedizione. Al mare…un po’ in relax e leggere le tue parole è una meraviglia.. tu, Don Marco,sr. Francesca. Che bel accompagno!! Grazie e speciale il richiamo al piccolo e all’umiltà. 💕💕💕

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