Pur variando le letture che lo precedono, a seconda dei cicli di lettura, il rito ambrosiano mantiene fisso, nella II domenica di Quaresima, il lungo vangelo “della Samaritana”, che possiamo leggere al capitolo 4 del Vangelo di S. Giovanni.
Cristo è “nome a di sopra di ogni altro nome”, in lui è possibile riporre la speranza cristiana. Una speranza che non è un semplice desiderio di un miglioramento di vita, ma possiede la certezza dell’autenticità e della solidità di un incontro con Cristo.
Ricalcolo del percorso
Il primo versetto su cui cade l’attenzione è il numero 4, dove possiamo leggere che Gesù “doveva attraversare la Samaria”. In realtà, sappiamo che chi doveva passare dalla Giudea alla Galilea, poteva anche passare ad est attraverso la depressione del Giordano, oppure ad ovest attraverso la pianura costiera. La Samaria divideva i due territori: era il tragitto più breve, ma non il più sicuro, né il più battuto.
Al pozzo
Nella città di Sicar, abbiamo un riferimento, carico di simbologia: troviamo un pozzo, attribuito a Giacobbe. Il pozzo consente di attingere e sappiamo, per il popolo d’Israele, costretto a passare per il deserto, quanto sia stato importante avere possibilità di attingere. Il pozzo era un dono tanto prezioso che, abitualmente, non vi era lasciato da attingere. Ciascuno portava il proprio contenitore; talvolta erano addirittura chiusi da un coperchio. A questo pozzo, siede Gesù, in una sosta del viaggio. Nel frattempo – ci racconta poco più avanti l’evangelista – i discepoli erano andati a fare provviste.
Così, avviene l’imprevisto atteso. Una donna arriva. Solo a chi è ignaro delle tradizioni – e della calura – di quei luoghi appare usuale che, all’ “ora sesta” (verso mezzogiorno), si possa presentare non solo una donna, ma chicchessia ad attingere acqua. È follia spostarsi sotto il sole, raccogliere acqua a quell’ora. Sarebbe come “fare rifornimento a un carro armato col motore acceso”: la sete costringerebbe forse a un secondo viaggio, vanificando un compito già gravoso.
Un incontro significativo
Eppure, è vero che i pozzi sono luoghi d’incontro. Sono un punto di riferimento e di ritrovo. L’ideale per fare affari o stipulare accordi matrimoniali, che, nell’antichità, erano in fondo attività strettamente imparentate tra loro. Il servo di Abramo trova al pozzo Rebecca, che sarà moglie di Isacco (Gen 24); lo stesso Giacobbe vede Rachele (che, dopo varie vicissitudini, sarà sua moglie), al pozzo (Gen 29).
“Dammi da bere” (Gv 4,7) è la richiesta di Gesù a quella donna che si reca al pozzo in un orario tanto insolito. La donna si trova con il coltello dalla parte del manico; un uomo le chiede da bere, giudeo per di più. Sembra che il dialogo si possa accendere in schermaglia.
Un dono da bere
“Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti ha detto dammi da bere, saresti stata tu a chiedere ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. (Gv 4,10)
Gesù non si tira indietro. Riprendendo l’immagine dell’acqua viva, come metafora della Legge per il fedele, la condizione di necessità, che pure la donna evidenzia abilmente (“Signore, non hai nemmeno un secchio e il pozzo è profondo”) sembra passare in secondo piano: quest’acqua viva le interessa. Ha percepito perfettamente la portata escatologica delle parole del Messia. Già la tradizione rabbinica propone l’immagine di bere acqua nel significato di ricevere un’istruzione religiosa, che però, lascia ancora assetati (Sir 24,20). Lo segue, con le parole, sul medesimo tracciato simbolico. Vuole capire meglio, vuole sapere di più. L’acqua che lo straniero propone sembra interessante, sembra lavorare su qualcosa che per lei è fastidioso come un nervo scoperto. Come accarezzato da una dolce novità. Un giudeo che parla con una donna, convinto che questa possa capire.
Cinque mariti, nessun marito
All’improvviso, la domanda che la riporta alla realtà e che rende evidente il legame tra il matrimonio e il pozzo: “Va’, chiama tuo marito e torna qui” (Gv 4, 16) richiama le convenzioni per cui era disdicevole, per un uomo, parlare solo a solo con una donna; se in mezzo a una folla, persino con la propria moglie, poiché non poteva essere esplicita la parentela. Forse, proprio qui emerge il motivo dei motivi, la spiegazione della stranezza di questa donna che attinge l’acqua nell’ora più calda. Forse, non è un caso, ma è volontà di esplicita di evitare altre persone, altre donne, altri sguardi. Perché lei ha avuto cinque mariti e quello attuale non è suo marito. “Convive”, diremmo ora.
Un passaggio delicato ma ineludibile
A quel tempo, per la donna, il matrimonio era una forma di tutela. La lunga lista di mariti precedenti potrebbe avere terrorizzato l’uomo con cui vive, che la guarda come una sorta di ‘vedova nera’. Dovendo ipotizzare una successione, quei matrimoni sono finiti o perché i mariti sono morti, o perché lei è stata ripudiata. In ogni caso, motivi validi perché il sospetto si addensi sopra la sua testa, esponendola al ludibrio e al motteggio, palese o nascosto, delle altre donne del villaggio.
Quest’abbondanza di matrimoni sembra – per assurdo – averla portata a una sterilità nelle relazioni, tanto da evitare ogni incontro, anche fortuito al pozzo. La ricerca di pienezza l’ha come svuotata. Cinque matrimoni, cinque feste, cinque legami che si annunciavano importanti, ma poi… è finita a non stringere più nulla, tra le mani. Colpa sua, dei mariti, del non marito attuale? Nessuno dei due interlocutori si sofferma oltre su questo punto, forse Cristo vi passa quasi distrattamente, proprio per delicatezza, perché ha visto che è una ferita ancora aperta, su cui non ci si può soffermare, ma è necessario passarvi, per proseguire oltre.
Teologia e… geografia
Di fronte alla profezia di parlare dei cinque mariti precedenti alla risposta di non avere marito, la donna arriva a domandare un chiarimento proprio su un dettaglio che separa i giudei i samaritani: dove adorare Dio. Non è l’unica occasione in cui Gesù approfitta per esprimersi in modo “partigiano”, ma ciò non gli impedisce di andare – anche – oltre: da una parte, il riferimento al tempio richiama la comunità, in cui si inserisce la preghiera del singolo; dall’altra, la vera adorazione è “in spirito e verità”(Gv 4,23), richiamo al fatto che la vita di comunità non esaurisce il rapporto con Dio, perché Dio ci invita ad una cena a tu per tu (Ap 3,20).
Indizio che Dio non è intruso: o è punto focale anche nelle nostre relazioni quotidiane, oppure rischiamo di non riconoscerlo, quando ci viene a cercare…
La brocca abbandonata
Un simile annuncio risulta spiazzante: la donna sembra, a questo punto, aggrapparsi a ciò che unisce Giudei e Samaritani: l’attesa messianica. Come pensare che il Messia, l’atteso delle genti sia un uomo sfacciato, che osa parlare da solo con una donna, che manifesta il suo desiderio di ristoro, ma anche un desiderio, più profondo, di conquistare anime assetate del Regno di Dio?
Un brano come questo risulta destabilizzante ad ogni rilettura. Cosa dice Gesù di sé?
In questo brano, potremmo dire che si sottrae ad ogni costrizione. Manifesta pienamente la propria umanità, senza nasconderla, mostrandosi fragile, povero, stanco, assetato. Al contempo, mostra una stoica abnegazione, perché il suo nutrimento più sostanziale è in realtà la predicazione del Regno, in ogni momento “opportuno e inopportuno”(2Tim 4,2). Attesta a chiare lettere di essere il Messia e –proprio per questo – mette in discussione tutte le convenzioni sociali. S’innesta nel giudaismo del tempio di Gerusalemme, ma, al contempo, preannuncia un tempio nuovo, innestato nel suo Corpo.
Una predicazione che sarà fonte di scandalo e malintesi, forse il motivo principale della morte in croce.
Un annuncio mai finito
“Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,35) esorta il Signore, rivolgendosi ai discepoli, che risultano – per l’ennesima volta! – presi in contropiede dal Cristo. L’adultera, la samaritana, la donna siro-fenicia. I lontani si rivelano, spesso, più predisposti all’ascolto e più assetati di chi, apparentemente, è cresciuto a “pane e parola di Dio”.
La Chiesa di oggi, come i discepoli di ieri. I discepoli di ieri, come la Chiesa di oggi. Incapaci di stare al passo con il Maestro, nonostante la volontà e le promesse. Costretti a rincorrere un rabbi che traccia nuove piste, disegna ‘linee pastorali’ inedite ed invita a non aver paura di osare di ascoltare la sete più profonda che ogni uomo porta nel cuore, come uno scrigno prezioso che attende solo di essere aperto.
“Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose” (Ef 1,22-23).
In forza di ciò, ancora oggi è possibile un incontro personale con Cristo, il Risorto. Perché Cristo vive ed opera nella Chiesa. Ancora oggi, l’operare di Cristo passa attraverso l’opera di uomini, imperfetti, che hanno visto (con gli occhi della fede) e creduto che quel Gesù di Nazaret, figlio del falegname, che “ha detto loro tutto quello che hanno fatto” (Gv 4,39).
Rif. Letture festive ambrosiane, nella II domenica di Quaresima, anno A (particolarmente: capitolo 4 del vangelo di Giovanni)
Fonte immagine: Pixabay
Bibliografia:
- JAUBERT a., Come leggere il Vangelo di Giovanni, Gribaudi, 1978
- WENGST K., Il Vangelo di Giovanni¸ Queriniana, 2005
- ZUMSTEIN J., Il vangelo secondo Giovanni, Claudiana, 2017
Vedi anche: L’inutile necessario