L’esortazione delle nonne era sempre la medesima: «Mi raccomando: non perdete mai il senso della misura». Che, sostituendo il nome agli addendi, il concetto non cambia: “Non perdete mai il senso del mistero”. Mistero che, ogni qual volta lo citavano, ne parlavano con un timbro che era una sorta di maiuscola da aggiungervi. Il Mistero di Dio, con tutta l’attrezzatura sacra addosso: il timore di Dio, l’adorazione del Cristo, la vita sacramentale. La Chiesa. Venivano bollate come “le solite cose” delle nonne ma per loro erano state la via maestra nell’educazione della loro fede. Del Papa, poi, manco si ipotizzava la citazione a vanvera, figurarsi lo sproloquio: “Erano i tempi dell’ignoranza quelli” s’affrettano a sottolineare i dotti. Al mio paese – terra d’adorazione e di bestemmie – sta di fatto che la storia l’hanno scritta loro, i nostri patriarchi infrasettimanali della fede. Di Papi malati ne avevano piena la memoria al punto da non scandalizzarsi se, all’ammalarsi di un Papa, partiva un tam-tam di odori sulfurei: non era ancora l’epoca dei social ma il pettegolezzo era già di moda. È sempre stato una moda. Papa Francesco va spesso a caccia nella foresta dei gufi. Nella foresta, porta addirittura a spasso i gufi con un’eleganza che i gufi manco si accorgono: li cita, li nomina, li burla argutamente. Ne espone l’elaborato come uno studente la sua tesina di maturità: «Lo so che là fuori c’è qualcuno che dice che è giunta la mia ora. Me la tirano sempre!”» Poi, cosciente della sua salute fisica, certe volte è lui a premere il grilletto della fantasia ipotetica: “Forse il prossimo viaggio lo farà Giovanni XXIV” (che non esiste ancora). È materiale per nuove scommesse clandestine!

Nessun scalpore per chi crede: gli evangelisti, gente che ha visto nascere la Chiesa, dicono sia normale accada. E’ già accaduto. Un giorno che Gesù era in direzione della morte, i Dodici amici rallentano volutamente il passo: sanno della situazione imminente e iniziano a tramare per il primo conclave della storia. Salvo, poi, perdere improvvisamente la voce quando vengono smascherati dal Capitano: «”Di che cosa stavate discutendo lungo la via?” Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande» (Mc 9,33-34) Qui si trattava della prima Chiesa nascente, quella scelta pezzo per pezzo da Cristo in persona, chiamando per nome i pezzi. La Chiesa verso la quale più di qualcuno tradisce una nostalgia balorda: “Dobbiamo ritornare alla Chiesa primitiva!” Chissà quale Vangelo hanno letto per nutrire una mancanza simile. Al Papa, in questi giorni, sono in molti a chiedere le dimissioni: velatamente, insinuandole, ipotizzandole, suggerendole. Vengono chieste come si chiederebbero quelle di un politico indagato, di un amministratore delegato anzianotto, come si prospetta ad un operaio uno scivolo pensionistico o una buona uscita per arginare il tracollo dell’azienda. Ci si dimentica che per un Papa l’immagine della vecchiaia non è una capanna di frasche a Lanzarote ma il soldato che cade in battaglia, spendendosi fino all’ultima goccia di sangue. Il fisico di un Papa (anche un Papa ha un corpo) non vive delle logiche corporee dell’atleta olimpico quanto della carne straziata del martire. La gloria, se c’è, sarà di Dio.

Lacrime e affanni appaiono oggi parole arcaiche: eppure sono parole sacre al popolo che crede. Immagino il Papa come il più solitario di tutti i solitari che abitano il mondo: è il più solo davanti a Dio quando, come Mosè, deve salire sul monte per trattare a nome del popolo. E’ (sempre) il più solo quando, al popolo, dovrà riferire le parole impopolari che Dio gli affida di riferire: Simon Pietro sa bene che gli òneri del suo primato battono a tavolino gli onòri della sua posizione. Chiedere ad un Papa di dimettersi è un fallo da cartellino rosso: è come volere insegnare a Cristo i tempi e le modalità di navigazione nel mare (sempre) in tempesta. C’è da credere che, tra loro due – Cristo e il Papa – nella preghiera abbiano sempre gli occhi fissi sulle carte nautiche, confrontandosi e riaggiornandosi tra di loro in tempo reale. Ecco perchè arrestarsi sulla soglia del Mistero, senza oltrepassarlo, è un atto di fede oltrechè di “buona creanza” come direbbe la nonna: per Pietro e i suoi successori la conservazione e la trasmissione della fede sono materia seria. Non è un “giocare al cristianesimo” come si vorrebbe far credere.

(da Il Sussidiario, 23 febbraio 2025)

Una risposta

  1. Papa Francesco ci sta insegnando ad invecchiare ed è un ulteriore dono prezioso che ci consegna . Lavoro , Preghiera , Progetti, attenzioni , Cura, Sguardo al Figuro , L’importanza dell’essenziale per leggere bene i bisogni nostri e degli altri , sorridere, ridere, Amare …. tutto su una sedia a rotelle . Spiritualità e Quotidianità , Responsabilità di Padre e prossimità di Fratello , attenzione ai Bimbi, ai Fragili … capovolgere alcune logiche datate e aggiornarle al momento storico … Caro don Marco , Papa Francesco è come la nonna che hai citato all’inizio della tua bella riflessione , è generoso che dona saggezza e Fede e ci invita a camminare con il cuore , riconoscendo e seguendo le orme di chi ci vuole veramente felici . Un abbraccio fraterno

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