Le parole profetiche di Simeone svelarono con mestizia il senso della venuta del Messia nel mondo quando dichiararono apertamente che sarebbe arrivato nudo e povero, con indosso solo l’abito della contraddizione per la caduta e la resurrezione di molti (cfr. Lc 2, 34). Simeone, prima di congedarsi, aveva anticipato che credere è azione strettamente connessa al paradosso Supremo della letteratura di ogni tempo perchè “il” più trascendente: Cristo Gesù, il Dio bambino, debole e povero, il Dio nascosto, amico, che si oppone alla potenza delle dialettiche, che si lascia umiliare, inchiodare, che chiama aiuto dall’abisso dell’abbandono, un Dio debole come le parole, semplice come il pane e il vino.

Il paradosso di Cristo è paradigma dell’ineffabile mistero che si cela dietro l’agire divino e diventa il fondamento della fragile densità dell’uomo: chi si vuole innalzare si deve abbassare, chi vuole essere primo deve mettersi alla fine della coda, chi vuole diventare grande si deve mettere a servire, chi vuole amare deve soffrire, chi vuole vivere deve morire. Anche un albero di gelsi con radici possenti, dunque, può sradicarsi obbedendo ad un minuscolo granello di senape (cfr. Lc 17, 5). Il mistero della fede è racchiuso sotto terra, mentre nella superficie amorfa della quotidianità scandalo e perdono devono crescere insieme come il grano e la zizzania. E’ a pelo d’aria tra humus e Cielo che attecchisce la misericordia, fertilizzante assai efficace che ravviva la linfa degli uomini e li riconsegna nuovi e rinnovati al mondo: dai frutti li riconoscerete. Il paradosso è una verità controcorrente, tutti spiazzati: farisei, discepoli e apostoli, e anche noi, la somma delle parti di ciascuno di loro. “Non siamo capaci di perdonare come fai tu, di parlare come parli tu, di amare disinteressatamente come ami tu, di lottare. Non ce la facciamo: «Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti?» (cfr. Ab. 1,2)”. La promessa di una fedeltà eterna e di un amore forte è incisa su una imperitura tavoletta di pietra. Nell’attesa, nel nostro non arrendersi è nascosto il volto di un Dio che accredita per primo la Sua fede all’uomo elargendo acqua di Misericordia, facendo schiudere nell’universo del suo cuore il seme del Regno, perchè diventi albero e i suoi rami possano allungarsi fino agli estremi confini della terra. «Aggiungici fede!», sarà allora la preghiera nascosta dentro al fremito di un seme che, bramando l’acqua della Vita, si schiude al miracolo di un amore quotidiano che non si arrende e che s’abbandona ad un Amore più grande, che germoglia nella perseveranza e vi trova la sua salvezza, che fa compiere opere più grandi di quelle che Cristo stesso ha compiuto. Che diventa primizia nel campo di Dio, pietra viva nella pietra angolare, umile servo a completa disposizione di Colui che serve, che sa che tutto può solo in Colui che dona forza: la stessa che nel paradosso delle parole diventa Parola e che fa di un piccolo seme l’unico strumento in grado di spostare le montagne.

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