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Nel film di animazione Ratatouille c’è una scena che rispecchia quello che molti di noi hanno sperimentato almeno una volta nella vita. È il momento in cui il critico gastronomico Ego, non di certo un cuore tenero e dalle lodi facili, assaggia la ratatouille, un celebre contorno provenzale talmente semplice da non essere ritenuto degno di un ristorante stellato. Accade un quasi miracolo: il sapore della pietanza risveglia in lui il ricordo della fanciullezza passata, sciogliendo il suo animo.
Non è un’invenzione puramente cinematografica. Secondo la scienza nulla è in grado di farci rivivere memorie del passato più dei sensi di gusto e olfatto. Per la maggior parte delle situazioni dobbiamo frugare nei cassettini dei ricordi, ma dinanzi ad un profumo o ad un sapore veniamo invece catapultati all’istante lontano nel tempo e nello spazio, con un sottofondo di nostalgia a far da colonna sonora.
Per questo motivo perdere questi due sensi, durante i dieci giorni trascorsi in compagnia del Covid, mi ha destabilizzata più di qualsiasi altra cosa. Non è stato solamente il saluto momentaneo alla maggioranza delle abitudini che diamo quasi sempre per scontate, quanto piuttosto il non poter più rituffarmi in un passato che sapeva di calore e tranquillità. Quasi un colpo d’accetta su una sorta di filo invisibile.
Per carità, nulla di veramente drammatico ed irreparabile, tutto di sopportabile. Assolutamente niente a confronto di chi ha dovuto affrontare risvolti ben più tragici e dolorosi.
Secondo un certo pensiero filosofico, la maggior parte di noi vive per lo più in uno stato di indifferenza, inteso come “abituato alle abitudini”. Ed è vero. Spesso – per non dire sempre – diamo per scontata la nostra quotidianità e le sue piccole azioni. La sveglia che suona troppo presto, il tasto per rimandarla ancora un po’, l’accorgersi con orrore che “ancora cinque minuti” sono diventati quindici o più; la lotta serrata nel traffico cittadino, lo slalom tra lavoro, famiglia e commissioni, gli scampoli di tempo dedicati ai nostri hobby. Tutto ciò è una routine che ci calza come un guanto, una realtà in cui siamo totalmente immersi da non farci più neanche caso. Quando tuttavia qualcosa di tutto questo viene meno è come se mancasse un pezzo del puzzle (oddio, forse la sveglia mattutina non mi è mancata poi così tanto), come se una folata di vento gettasse scompiglio tra tutte le carte in tavola.
Tasto di messa in pausa su abitudini e su legami sensoriali con passato e presente: una sorta di (comodo) eremitaggio non voluto, che mi ha costretta a rivalutare ogni azione quotidiana, a considerare preziosa anche quella più apparentemente banale. Ciò che siamo, quel che viviamo, è invece un dono da assaporare di giorno in giorno, da scrutare con meraviglia. Non dimentichiamolo.

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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