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L’immagine è quella di una Chiesa triste e afflosciata, incapace ormai di divertirsi professando la sua fede nel Gesù di Nazareth. Lassù ai vertici campeggia la figura di un Papa stanco e impossibilitato oramai persino a prendere la parola, lui che con la parola può far valere la sua autorevolezza e autorità di Papa. L’insopportabile meraviglia di un uomo, Benedetto XVI, sulle cui spalle campeggia statuaria la bellezza e la delicatezza del fatto cristiano che chiede disperatamente di diventare storia concreta.
Il vociare confuso delle strade, le grida angosciate che salgono dal ventre della terra, la disperata agonia di un popolo condotto allo stremo sembrano essere lungi mille miglia dalle preoccupazioni di una istituzione ecclesiale sempre più staccata e governata da uomini che hanno perso il senso della misura, la dignità di una scelta e lo splendore di un’avventura da giocarsi nelle periferie della terra. “AAA, cercasi Cristo disperatamente” sembrerebbero gridare i poveri cristi della terra. Le chiese si svuotano ma le piazze si riempiono, vorrà pur dire qualcosa questo fatto. La gente c’è, ed è un popolo che interpella e chiede, riflette e immagina, piange e sogna. Ma è un popolo che non è più disposto a “credere, obbedire, combattere”, ma invoca l’umile richiesta di motivi per credere, di leader carismatici ai quali obbedire, di ideali di vera santità per i quali combattere e magari essere pronti a dare la vita. Oggi non basta più l’autorità per essere condottieri capaci di reggere la responsabilità di un’avventura: come posso io obbedire ad un qualcuno che prima di tutto non mi si mostra credibile e autorevole ai miei occhi? “Stavolta impiego tutta la mia autorità” è ancora l’illusoria frase che qualche parroco estrae dal cilindro per riuscire a vincere battaglie senza più motivarle. E la gente gli ride in faccia: come dare loro torto? Il rispetto va sempre salvaguardato, ma il rispetto chiede anche la tutela della propria coscienza di uomini capaci di distinguere il bene dal male, l’illusione dalla verità, l’escamotage dalla strategia. Hanno messo un bavaglio al Papa perché lui l’ha capito quale pericoloso scisma abita dentro la Chiesa Cattolica. Perché lui l’ha capito che nell’arena del Vaticano la lotta tra il card. Bertone (segreteria di stato) e il card. Bagnasco (conferenza episcopale italiana) ha conseguenze molto più nefaste di una semplice battaglia per il “primo posto” organizzata nella sala giochi dell’asilo di paese da un gruppo di bambini. Lassù in alto si giocano queste battaglie, quaggiù in basso ne contempliamo in presa diretta le conseguenze: proposte pastorali sempre più fiacche, vescovi incapaci di richiamare all’obbedienza la truppa, consigli pastorali simili ad assemblee di scioglimento di un’azienda, sfiducia in quei piccoli gladiatori di parroci ancora strenuamente alla difesa dei “confini” della Chiesa. E delle loro diocesi.
Per chi guarda da fuori la Grazia non è sempre facile da capire: questo ci basta per continuare ad aggrapparci a quel brandello di fede che ancora arreca nostalgia di Cristo. Con due nefaste pulci all’orecchio all’inizio di un’estate tutta da scrivere. La prima: le cronache studiate sui banchi di scuola ci hanno attestato che la sera prima della celebre disfatta di Caporetto i capi dell’esercito erano distratti o immersi in tutt’altre preoccupazioni: ne uscì una triste pagina di storia ancor oggi additata come emblema di una catastrofe organizzata. La seconda: fra qualche giorno imbarcheranno il Papa e lo condurranno a Castelgandolfo per le ferie estive: il Vaticano rimarrà orfano di quel condottiero che ancor oggi appare ai più come l’ultimo leader rimasto ad additare il Cielo. La speranza è che in questo periodo ne combinino il meno possibile.

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