Mistica del cinema
C’è chi fa cinema e c’è chi fa cinema con gli occhi puntati nell’insondabile mistero di Dio. Chi opera in questa maniera, chi si mette dietro l’occhio della macchina da presa puntando in alto, al sublime, è certamente Terrence Malick, regista che dagli anni settanta ad oggi ha girato appena undici film.
Da molti accusato di manierismo o di essere eccessivamente sofisticato, Malick, in realtà, è uno che attraverso il cinema cerca di portare a Dio lo spettatore. Parte della sua opera potremmo definirla una “mistica del cinema”. Grazie all’uso preciso, millimetrico, di scene ed immagini, a colonne sonore che sempre perfettamente s’incastrano con ciò che si sta guardando, le sue pellicole sanno aprire un varco nell’animo sensibile di chi assiste alla sua messa in scena.
A hidden life
È il caso di A hidden life – La vita nascosta, uno dei massimi capolavori della cinematografia dello scorso decennio (è uscito nel 2019).
Attraverso l’uso sapiente (o sapienziale?) delle riprese, grazie alla perfetta sintonia con la colonna sonora composta da James Newton Howard, il regista ci accompagna per mano nella vita di Franz Jägerstätter, contadino dell’Alta Austria dichiarato beato nel 2007, terziario francescano, obiettore di coscienza durante la seconda guerra mondiale e, per questo motivo, condannato a morte dall’implacabile furia nazista.
Chi conosce Malick conosce anche l’uso parsimonioso che fa della parole, delle battute, nei suoi film. Le voci dei protagonisti sono spesso fuori campo e più che parole schiette sembrano sussurri, quasi potessimo ascoltare la coscienza del protagonista o di chi gli gravita intorno.
Una questione di coscienza
A hidden life è un film utile in questo mese della memoria, per ricordare, oltre alle vittime ebraiche del nazismo, anche altri martiri, anche chi, come Jägerstätter, si oppose al nazismo in maniera radicale. Ed è qui che sta la bravura di Malick, nel mostrare il dramma del contadino austriaco, la lotta interiore con la propria coscienza, con la propria fede cristiana. Perché la questione, nell’interpretazione di Jägerstätter, non è solamente quella di non arruolarsi per non uccidere nessuno, perché la fede cristiana impedisce questo, è ancora più sottile. Egli infatti non si arruola per non prestare giuramento ad Hitler, al male. Egli, con il führer, con la sua politica, non vuole avere nulla a che fare, si rifiuta di esserne implicato in qualsiasi maniera. Quel giuramento, infatti, era per lui un segno di adesione, per quanto formale potesse apparire, al nazionalsocialismo e questo, secondo Franz, un cristiano non se lo poteva permettere.
Il prezzo di un no
Si sarebbe potuto salvare, l’avrebbero probabilmente messo a far carte da qualche parte, ma la sua obiezione è netta, radicale, perché il male va sempre rifiutato. Questo rifiuto, che può sembrare assurdo, gli costerà l’allontanamento dalla famiglia, dall’amata Franziska e dalle tre figlie, la tortura, la morte.
Perdere tutto, anche le persone più amate, per dire “no!” ad Hitler, al male in persona, forse solo cose da santi o, come ci insegna Jägerstätter, forse solo cose da cristiani coerenti fino in fondo.
2 risposte
Ammirazione totale. Ecco cosa sento. E grazie per questi pensieri.
Sembra quasi irreale, eppure…..