Cercava l’oscurità al sorgere del sole: chissà da quale poeta aveva attinto ispirazione, carissimi ragazzi. Oppure nutriva la semplice voglia di scocciare e denunciare un mondo che non l’aveva saputo valorizzare ascoltandolo. Qualche navigante giovane nel mare di internet ha scritto che nascere è una lotteria: ammesso che lo sia, rimane pur sempre una lotteria inedita che ci chiede di diventare giocatori raffinati ed eleganti. Qualcuno di voi ha iniziato ad urlare la rabbia, a denunciare l’indifferenza, ad unire voci per trovare qualcuno che accetti la sfida di scendere dentro l’abisso della giovinezza: tante sono le paure che attanagliano la giovinezza, ma quella di rimanere soli non tiene paragoni: rimane la regina delle paure. Rimanere soli ed essere insignificanti dentro ad un mondo che sempre più vi tratta da clandestini, dandovi il “benvenuto” in nessun luogo, facendovi sentire stranieri tra le mura di casa.
Non invidio la vostra età, quel mare di dubbi nel quale solo la letteratura assicura che il naufragare sia dolce: la paura di non farcela, di non essere accettato, di affrontare la vita: la paura di non essere nessuno. I problemi legati alla crescita, al cuore, ai sentimenti. E poi quei foruncoli di passaggio, qualche kg di sovrappeso, quel paio di jeans sempre troppo stretti. Eppure abita qui la bellezza del vostro essere: nell’imperfezione di un corpo che lentamente matura al ritmo degli anni che passano. Del corpo che cresce e dell’anima che stenta ad accendersi. A scuola l’anima è tacciata, in casa spesso è clandestina, nel vostro vociare muto è bandita: eppure in quella parolina ci sta un potenziale enorme: il coraggio dei sentimenti, il laboratorio delle vostre scelte, la bacheca nella quale sta scritto quello che in nessun’altra parte scrivereste, la vostra vera faccia.
Stamattina ho letto di quel ponte mentre la radio svegliava la mia stanza con la voce amica di Eros Ramazzotti: “s’inizia a morire nell’attimo in cui cala il fuoco di ogni passione”. Sotto quel ponte troppe persone hanno visto solo un bacino a pezzi: con una prognosi di 90 giorni. Chissà quanti avranno scorto un’anima a pezzi: sola, in lotta col mondo, con la famiglia, con un Dio magari mai divenuto amico: con una prognosi che dura una vita. Non sapremo mai qual’è stata la domanda alla quale quel ragazzo non ha trovato risposta: forse era una domanda aperta, di quelle che fanno nascere altre domande. Perchè solamente le domande insulse hanno le risposte definitive. Ma siccome la vita non è un quesito insulso, allora quel corpo straziato rimane una domanda aperta: alla quale più di qualcuno tenterà una risposta. Forse costretto dal rimpianto angosciato di chi non era ancora convinto, dopo innumerevoli suicidi, che la volontà nasce dall’interesse e l’interesse sboccia dall’emozione. Quell’emozione che, accesa, t’innalza oltre la superficialità del tempo.
Ma adesso smettete di piangervi addosso e rimboccatevi le maniche pure voi: voi e coloro verso i quali state puntando il dito. Tornate a sognare, a colorare i pensieri, iniziate ad immaginare voi il vostro futuro e tradite quelle promesse che somigliano molto alle scatole in cui si rinchiudono le pulci. Prendete i discorsi sull’uscio di casa e portateli oltre i voti scolatici, la bella pagella, il compito firmato: aprite l’anima, invitate dentro i vostri educatori, organizzate la speranza. Il futuro sarà la proiezione di quello sguardo all’interno.
E lasciate che adesso tanti si chiedano il perchè: d’altronde in qualche modo bisogna pur sopravvivere quaggiù.