terremoto1E anche un minuto sembrò durare un’eternità.
Perché la storia si può scrivere in un battibaleno ma la storia la si può anche distruggere in un frammento di giornata, in un semplice minuto. Tanto è durata la scossa del terremoto che ha smantellato l’intera Isola di Haiti, nei Caraibi dell’America Centrale. Spiagge assolate, villaggi turistici, magia di luoghi esotici. Ma anche l’altra faccia della medaglia: una povertà quasi assoluta, un analfabetismo impressionante, una corruzione e una miseria d’impareggiabile portata. Sotto le macerie sono rimaste le urla strozzate di chi invano gridò aiuto, l’angoscia straziante di chi invoca la salvezza, la tristezza disperata di chi vedrà una famiglia dimezzata: il ricordo di chi fino a ieri s’affannava per il pane e in un minuto ha visto centinaia di settimane infrangersi contro l’urto violento della Natura.
La comunità internazionale si mobilita, le associazioni umanitarie pianteranno campi base, l’eleganza del mondo si supererà: perché uno stato in ginocchio sa sempre muovere i cuori e smuovere le coscienze. Ma fra qualche mese Haiti ripiomberà nel silenzio: il silenzio dopo l’11 settembre, dopo l’attentato di Madrid e Londra, dopo lo Tsunami dell’Oriente asiatico, dopo l’angoscia della gente d’Abruzzo, quel silenzio cantato dai poeti e pennellato dagli artisti che segnala il passaggio di una tempesta, di una lama, di un acquazzone piovuto dove fino a tre minuti prima regnava il sole. Tornerà la “quiete dopo la tempesta”, quella cantata dal Leopardi poeta: ma quella volta il suo borgo di Recanati venne risparmiato dalla furia tempestosa e le galline e gli uccelli sono tornati a fare festa. Non sarà così ad Haiti, dove anche la speranza faticherà a rimettersi in piedi ma sopratutto dove oltre mezzo milione di persone non avvertiranno più l’eleganza di quell’alba che aveva reso celebri le loro spiagge.
Rimarrà quel minuto ficcato dentro la storia di un popolo, ma anche dentro l’immagine del mondo: fino a ieri pensavamo che un minuto fosse solo la sessantesima parte di un’ora, un agglomerato di inutili secondi, un irrisorio frammento di tempo pronto anche ad essere gettato. “Aspetta un minuto”, “non ho un minuto di tempo”, “fra un minuto”, “lasciami in pace un minuto”: pensavamo fosse poco più di nulla, invece la Natura che, contrariamente all’uomo, sa decantare il tempo alla perfezione – con le sue primavere, estati, autunni e inverni – c’ha mostrato che in un minuto tutto può cambiare e nulla rimane com’era prima. Un terremoto ci ricorda quanto sia fragile la nostra esistenza sulla terra: basta che la natura decida di sgranchirsi le ossa e uno scalatore si sfracella al suolo, un ghiacciaio si erode, una civiltà scompare, un’isola viene cancellata. Fragilissima cosa è l’uomo su questa terra: le stelle lo sovrastano, il mare silenzioso e calmo lo inghiotte, il cielo muto ne ricorda la sua piccolezza. Eppure è stato fatto al pari degli angeli, vestito e impreziosito di maestà e di onore: l’unica creatura alla quale il Creatore abbia affidato le chiavi dell’unico Universo a disposizione.
Rimangono le macerie a ricordarci la preziosità del tempo, la caducità delle cose, l’illusione dell’eternità quaggiù. A ricordarci che il tempo che passa è tempo passato, il tempo presente è tempo da vivere, il tempo futuro è esclusivamente dono della speranza. Un minuto di folle disastro per mostrare all’uomo la delicatezza dell’esistenza su questa terra dove le uniche cose a non crollare saranno quelle innalzate nell’oscurità dell’anima, nel silenzio del pensiero, nella sofferta avventura di chi, sconfitto, non cede le armi.
Ma si gioca anche un solo minuto rimasto: potrebbe essere quello decisivo.

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