Novella 2000 annuncia che Noemi Letizia, la ragazza di Casoria amica del premier, non mangia più: ha perso 10 kg in pochi mesi. Forse per tristezza, per malinconia, per il semplice fatto che nel giro di otto mesi non è divenuta la star che tutti già consideravano. Perché oggi essere star significa essere tutto: considerate, famose, cercate e viziate. Nella storia dell’umanità c’è stata l’era dei dinosauri, quella dell’oro e del bronzo, l’era delle glaciazioni e quella delle grandi trasformazioni. Siamo ora da anni entrati nell’era del pavone dove chi non è attraente viene scartato dalle ragazze grissino e dai ragazzi mingherlini e tatuati che escono dal laboratorio televisivo. Dove a nulla contano le competenze, gli anni di sudato apprendimento passati sui banchi della scuola, l’onesta voglia di emergere e diventare qualcuno. Eppure l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sulla statura di chi la abita: gente piccola e malforme ha scritto pagine di indubbia bellezza anche per chi oggi divide il mondo in belli e brutti, magri e ciccioni, sexy e fastidiosi. Le luci di Hollywood e lo champagne del Billionaire accecano troppe anime giovani senza mostrare loro l’altra faccia della medaglia: quella che come prezzo chiede l’omologazione, il fastidioso rispetto di un cliché da adottare, la svendita della libertà d’essere imperfetti. Fino a stravolgere l’idea stessa di bellezza. La bellezza è una sensazione, una magia, un’emozione: la bellezza non è la perfezione, ma l’imperfezione che diventa eleganza, stile, armonia. Oggi la troppa bellezza non riesce più a smuovere vecchie passioni dentro di noi: volti impeccabili, fisici costruiti a tavolino, ville dal giardino con i fili d’erba perfettamente uguali, giardini costruiti col computer, trucco addossato con la lente d’ingrandimento. Troppa bellezza non è bellezza: perché la bellezza abita nella bruttezza che tenta di trasformare se stessa. Di migliorarsi, crescere ed esplodere senza tradire i lineamenti naturali. La Scrittura Sacra racconta la “bellezza del dimesso”: di falliti diventati profeti, di prostitute divenute regine, di ladroni entrati in Cielo vestiti da angeli. Non racconta la bellezza, preferisce testimoniare il faticoso viaggio che dalla bruttezza conduce alla bellezza: senza raggiungerla nel viaggio di quaggiù. Le pubblicità di Intimissimi e Yamamay sono meravigliose, evocative, splendenti e luccicanti: ma sono immagini costruite, artificiali, troppo perfette per essere vere. Drammatiche per chi, magari giovane, pensa si possa giungere a quel livello di perfezione pur massacrandosi all’inverosimile. Fino a perdere kg e ammantarsi di triste malinconia appena si spengono le luci accecanti di una ribalta improvvisa.Per questo torna il Natale, per ricordarci che la Bellezza vera abita in altri canoni: nella bellezza di un bambino, cioè della debolezza, della fragilità, della non considerazione, dell’ingenuità e della sana spavalderia. Il rispetto di questa bellezza vorrebbe che il giorno di Natale, a reti unificate, la televisione intera mandasse in onda Il gobbo di Notre Dame, quel magnifico cartone della Walt-Disney. Protagonista è Quasimodo, un gobbo il cui nome in latino significa “costruito a metà”. Perché lui è brutto fuori, ma dentro è bellissimo, dorato, intelligente e simpatico. Perché questo è il Natale: la calata dell’Eterno dentro la storia quotidiana per risvegliare quella bellezza che ognuno nasconde dentro di sé. Anche perché Lassù non sono i 10 kg persi in una certa maniera a preoccupare (“homo faber ipsius fortunae”), ma la mancanza d’appetito verso la vera Bellezza: quella di un cuore ordinato e di un’anima appassionata. Per Quasimodo il Gobbo Natale è il suo giorno preferito: un Bambino gli ricorda che essere belli dentro è il segreto dei veri conquistatori.
Dell’Eternità.