Una delle più belle assurdità del Vangelo. Il mondo ha da tempo firmato la mozione del “tutto e subito”, la liturgia torna a rilanciare il tempo dell’attesa. E quella scritta, scarabocchiata mo’ di graffito su tante All Stars – “vivi questo giorno come se fosse l’ultimo della tua vita” – solo a dei turisti di passaggio può ancora continuare a profumare di eroismo e di volontà di vivere. In realtà nasconde dietro una delle minacce che più attentano al mistero della giovinezza: la dittatura dell’istante e dell’attimo presente fino a caricare certi frammenti della vita di una potenza esplosiva, persino dell’estremo. Fino a voler sfidare e sfiorare il limite per cercare di scappare dalla prigione del tempo, dello spazio, del confine: l’uso di stupefacenti, la musica tecno-dance, la nuova cultura del rischio, la pratica degli sport estremi, dei giochi d’azzardo, dell’uso e dell’abuso della droga sono termini forse tra loro diversificati ma che certificano la voglia di evadere da qualcosa che imprigiona, che blocca i sogni, impedisce i voli. Per ridisegnare quello che un giorno fu anche il sogno di Icaro: sfondare, magari per un solo istante, la dittatura di un mondo in cui è divenuto difficile persino abitare.
E’ l’attesa che nutre i grandi desideri. Perchè è il tempo che si perde per inseguire qualcosa – uno sguardo, una scelta, un’aspirazione – che fa di quella realtà qualcosa che è capace di attirare lo sguardo dell’uomo. L’Avvento, dunque, – che dell’attesa è il sinonimo liturgico – ci rammenta la bella distinzione tra una “voglia” e un “desiderio”. La prima chiede un istante per essere esaudita: voglia di caramelle, di aria, di cibo, di coccole, di un computer, di un panino, di un fiore, di una minestra. Il desiderio, invece, chiede tempo per potersi vestire: perchè un desiderio è la libertà, il futuro, un riscatto, una relazione, un amore. Avete mai osservato il germogliare della nostalgia tra le increspature di occhi giovani, distratti e apparentemente insensibili? Occhi che hanno visto tutto, mani che trattengono persino il superfluo, corpi che annidano fasti spropositati, menti dai pensieri fugaci e fuggitivi. C’è tutto, eppure un velo di nostalgia li tradisce, mostrando quasi che manca loro qualcosa: una domanda, una risposta, un dubbio, un desiderio da appagare. Sembra quasi l’esperienza di sant’Agostino quando, in calce ad una vita dissoluta e dall’esito amaro, scoprì che il cuore era simile a quello di un fuggiasco: un cuore inquieto. Eppure non lo scriveranno mai sui muri, sui ponti o sugli zaini: lo racconteranno con quegli sguardi trafitti e accesi che stanno chiedendo aiuto nell’investire il tempo.
La troppa velocità – oltre a qualche multa in più e qualche punto in meno – c’ha derubati persino dello stupore, facendoci abituare allo straordinario cosicché la bellezza non ci interpella più. Condannati a vivere in una provvisorietà permanente, l’attesa è diventata il grembo che partorisce ansia, apprensione, angoscia, mistero. Pertanto non stupisce che, in fronte a tale vortice, oggi il potere della magia abbia un sopravvento così esorbitante. Non ci coglie alla sprovvista dal momento che essa, cancellando e facendo sembrare ridicolo il tempo dell’attesa, fornisce illusioni firmate di immediatezza. E, volgendosi alle sembianze delle vecchie favole, ridicolizza la speranza. La “voglia” contro il “desiderio”: la bella lotta dell’Avvento che sta per nascere.