Mancava solo la canzone di Vasco in sottofondo – quella che dice che la vita un senso non ce l’ha – e poi la serata sarebbe risultata stupendamente oscena e realista: una giovinezza mezza bruciata da un coma etilico per attestare la certezza che la vita un senso non ce l’ha. Eppure se lo rinfacci loro ti mostreranno tutto il contrario: perchè sembra che la trasgressione, quella disposta a mettere a repentaglio la vita per un nonnulla, sembra essere il premio di una settimana di impegno, di fatica e di sudore. Non accorgendosi, invece, che piuttosto di un premio è un’elegantissima schiavitù che ruba loro l’armonia del cuore. “Incapace di intendere e volere”: magari dietro una faccia che lavora, che studia, che s’appassiona di mille interessi. Sembra proprio che la “sindrome di Penelope” – quella del fare e poi disfare – sia tornata in voga tra il popolo giovane: ma almeno quella della moglie di Ulisse era una semplice tela, tutt’al più simbolo di un ricordo da attendere. Oggi al posto della tela si fa e si disfa l’esistenza: con conseguente disinnamoramento della sua bellezza.
Con l’aggravante di non poterli nemmeno più di tanto recriminare, perchè sono solamente la versione giovane di una mentalità diffusa a macchia d’olio anche nella Padova per bene del mondo adulto, come messo in mostra giorni fa sulle pagine di questo giornale. E’ un urlo di grande debolezza quello che esce da questo frammento di mondo: perchè dietro il loro eroismo, la loro apparente spacconeria, la sicurezza d’essere forti tante volte si cela la mancanza di un senso che accenda la loro vita, di qualche grande ideale per cui investire la giovinezza, di una passione che li aiuti ad alzare un po’ lo sguardo verso il futuro. Grandissimi danni hanno inferto i campi di concentramento al corpo dei reclusi: ma, spostate l’immagine, altrettanti delitti all’anima si stanno perpetrando in queste discoteche-cattedrali dove il passato chiede di essere dimenticato, il futuro spera di rimanere per qualche ora fuori dagli interessi e il presente è caricato come un fucile. Ma togliendo il pensiero del domani, il presente diventa un’occasione ghiotta da usare, da giocare, da mettere a rischio. Forse è proprio questa l’immagine sballata che viene cantata nelle liturgie delle discoteche: che la vita viaggia a compartimenti stagni. Oggi posso eccedere, tanto domani è un altro giorno: staccato da quello prima e da quello dopo. Quando invece la vita stessa si regge sul principio dei “vasi comunicanti”: nessuna azione rimane ininfluente su tutto il resto, perchè l’esistenza è una splendida melodia che richiede persino le pause e le note più veloci per poter sfiorare la perfezione. E catturare l’attenzione di chi l’ascolta.
In Nepal il forte scalatore sloveno Tomaz Humar ha perso la vita scalando una montagna, tentando di spostare il limite e arricchire la scienza: all’osteria gridano che se ne poteva stare a casa e non meritava i soccorsi. In discoteca una ragazza sfiora la morte strozzando le ali ad una giovinezza perduta: qui, invece, l’uomo dell’osteria dice che i soccorsi sono giusti e giustificati.
Com’è buffo l’uomo dell’osteria: incapace di intendere come la morte sia identica per tutti. Ma è il senso che ha portato a quella morte a fare la differenza tra un possibile eroe e un semplice sberleffo tirato alla vita. Il primo innalza verso l’alto fino a perdersi inseguendo un sogno: la seconda s’infossa nel nulla fino a smarrirsi in un’avventura di passaggio. E la storia continua.