stelleUn bacio sulla guancia: come segno d’amicizia. E agli amici un sms d’augurio sulla soglia dell’Avvento: “quando l’intelligenza aumenta, le parole diminuiscono”. Come il post-it di quella bambina che, appassionata d’arco e ignara della teologia biblica, scrisse come monito affettuoso ad un amico prete: “Nel deserto spegni l’Ipod. Saranno le stelle a guidarti”. Ma il silenzio è un’arte delicatissima, il deserto è un luogo disumano: il silenzio e il deserto rivendicano paternità e maternità della Parola. Paradosso della lingua ebraica: deserto si scrive midbar e si traduce “spazio della parola”. Lo stupore della Bibbia: si entra nel deserto come un’accozzaglia di straccioni, come un’orda di beduini. Si esce come megafoni silenziosi di Dio. Simili ai ruggiti del leone. Perché nel deserto il Creatore rifinisce la preparazione dei suoi atleti: li addestra, li avvisa, li educa. Per insegnare loro a parlare. La parola di Giovanni Battista: veemente, forte, tagliente. Convincente. Perché questa è la garanzia della Parola vera: nell’attimo in cui entra, inizia a ricreare, a trasformare, a rinnovare. S’addentra e scombussola, infastidisce, getta all’aria le minuziose chincaglierie argentate. Se entra scompone, scompiglia, scombussola.
Nella Scrittura imbattersi in uno che sta uscendo dal deserto è come incappare nel volto de L’urlo di Edvard Munch: mani a proteggere le orecchie, testa incassata nelle spalle, lo sguardo allargato, la bocca aperta. Troppo forte è il rombo di quel silenzio ingoiato quando, spogliati, Dio inizia a dare nuova forma all’esistenza. Come il volto di Elisabetta. 35 anni: mamma, sposa, sognatrice. Due bambini e una bambina. L’anno scorso sulle piste da sci discorreva convinta di Saint-Moritz e di make-up, di Gucci, Dior e Ralph Lauren. Di musica, frastuoni e feste. Di corse, chiacchiere e festeggiamenti: vocabolario dalle parole logorate e consunte. Giorni fa, sulla medesima pista, parlava di fiori, notte, stella e giorno, vento e sorriso, rosa, sangue, terra. Fanciullo, bacio, fulmine. Respiro e quiete. Spesso parlava con lo sguardo. Tra le due nevicate un cancro al seno l’ha obbligata alla residenza nel deserto: uscita, senz’accorgersene ha iniziato ad usare un nuovo vocabolario. Parole fresche, massacranti, semplici: la logica del deserto. Dove chi accetta d’entrarci esce ri-formato: con l’obbligo di ri-formare.
Il deserto della malattia e dell’abbandono. Della vecchiaia abbandonata e della giovinezza tralasciata. Del carcere e della solitudine. Il deserto di una crisi, di uno stop forzato, di una strada d’abbandonare. Di una scelta da rifare. Strettoie nelle quali il Creatore ama sostare e attendere per incanalarsi nelle fessure dell’anima e addestrare i suoi profeti da scaraventare poi sui sentieri dell’umano. Gente che, con i piedi per terra, sappia parlare di speranza.
In una pagina di Facebook risalta una scritta: “Vi prego, non vi affrettate: fermatevi un momento sotto le stelle”. Forse l’ha scritta Elisabetta. Ma potrebbe anche essere del Battista. O di Battista, l’ergastolano libero.
C’è voce di deserto dietro quella penna.

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