L’appuntamento, per noi bambini, era nella piazzetta della contrada, dopo cena. Lì, davanti al capitello (ogni contrada era fiera, orgogliosa del suo da farci manutenzione giornaliera) si recitava il santo rosario assieme. La faccenda era “affare privato” delle nonne: lo organizzavano, spartivano tra noi le Ave-Maria da recitare, coordinavano tutto con religiosa devozione. Poi, alla fine della recita del rosario, puntualmente si apriva la finestra di una delle casette e appariva un piccolo buffet: un bicchiere da bere, quattro biscotti. Che davano il “via” al dopo rosario: un’oretta abbondante di divertimento, di giochi, di timidi amoreggiamenti dietro i lampioni, al chiaro della luna. Ancor oggi, quando mi chiedono un parere (non so perchè) su quale sia il migliore sito d’incontri, resto fedele al mio: è la piazzetta il miglior sito d’incontri. Luogo d’affetti, di memoria, d’innamoramenti.
Qualcuno, nel leggere, potrà sorridere sotto i baffi. Eppure, quando penso a com’è sbocciata la mia fede, son costretto a ritornare a quelle sere di maggio, a quella devozione paesana che le nonne gestivano con giudizio: “Prima venite a recitare il rosario, poi state fuori a giocare con gli altri”. Con loro che, esperte della vita, chiacchierando davanti alle porte, tenevano sott’occhio la situazione, senza per questo apparire invadenti o morbose: erano pur sempre le nostre più valide alleate nel momento di aprire qualche trattativa ostica con i genitori. Oggi che persino i rosari, le processioni, le messe sono diventate gesti virtuali, mi diverto a mantenere viva la memoria di quelle sere bambine, come si mantiene una pianta: abbeverandola. Lì, senza che nessuno di noi se ne accorgesse, le nonne ci presentarono il cristianesimo come una festa popolare, un momento d’allegrezza, qualcosa che non perdeva la sua serietà per il semplice fatto che lo si legava con le cose che ci facevano svagare. E nessuna mamma o papà parlò mai di ricatto o di tentativo di plagio: “Vanno al rosario perchè poi vanno a giocare!”. Si fidavano delle nonne e della loro saggezza nel fare catechesi.
Fiutai lì, nella nostra amatissima piazzetta, ciò che la teologia mi confermò più tardi, senza quel sapore delle nonne, però: Dio, e i suoi misteri, o entrano nei nostri affari quotidiani, mescolandosi con essi, o rimarranno per sempre dei doveri da espletare. Di quelli che, appena eseguiti, di tante cose ti fanno venire voglia eccetto saltare e giocare. Innamorarsi della più bella, del più bello, del paese. Il tutto sapendo che Cristo e la Madonna godono della nostra allegria.

(da «Specchio» de La Stampa, 22 maggio 2022)


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