Gli Atti degli Apostoli sono forse, più di tutti, il libro dello Spirito Santo, quello in cui la Terza Persona della Santissima Trinità si fa protagonista, in quella che potremmo definire la storia della Chiesa nascente, sorta ai piedi della Croce, in quell’affidamento della Madre al discepolo amato (Gv 19, 26-27), in quel cenacolo chiuso e timoroso (Gv 20, 19), in quella corsa forsennata del mattino di Pasqua verso un sepolcro rimasto inesorabilmente vuoto (Gv 20, 4). Un vuoto pieno di senso. Un vuoto che ricolma quella mancanza tenace e pungente, che li aveva colpiti, dal momento in cui erano fuggiti, “come pecore senza pastore”. Per paura della morte, per paura del seguito. In ogni caso: per una paura che ne aveva attanagliato pensieri e parole in un unico grumo, aggrovigliato e irrisolto.
Lo aveva predetto il Maestro, prima di quelle frenetiche, intense ultime ore del suo passaggio terreno. Devo andarmene io, perché voi riceviate il Paraclito: egli vi suggerirà ogni cosa (Gv 14, 26). Così avviene e non senza apportare cambiamenti con il suo arrivo.
Questo tempo che separa la Pasqua dalla Pentecoste ci invita a guardare ai discepoli, figura della Chiesa di ieri, di oggi e di sempre, sposa di Cristo, capace di portare salvezza e chiamata a portarla solo in virtù della docilità allo Spirito e nel nome di Gesù Cristo, Figlio di Dio e Dio come il Padre.
Lo capiamo dalle parole di Pietro, investito del suo ruolo di capo degli apostoli, che, quindi, parla anche a nome di tutti gli altri. Di fronte alla cattura e alla successiva morte di cristo, tutti fuggirono, tutti ebbero paura. Pietro come e più degli altri, dal momento che, nel cortile del sommo sacerdote, impaurito, impulsivamente affermò e confermò per ben tre volte di conoscere quello per cui aveva garantito d’essere disposto a morire (cfr. Mt 26,35). Eppure, davvero, Pietro, “una volta ravveduto”, ha “confermato i suoi fratelli” (cfr. Lc 22, 31).
Dopo Pasqua, è tutta un’altra storia. Simone pescatore, frastornato d’amore, confuso ai piedi del Signore, capce di vedersi solo come un peccatore di fronte al proprio Signore, dopo Pasqua, rivestito di Spirito Santo, diventa Pietro, Capo della Chiesa, consapevole d’esserne il primo servo e che, come un tralcio non può separarsi dalla vita, così, non può fare nulla senza Cristo (cfr. Gv 15, 5). Il riferimento che troviamo all’inizio del brano liturgico è alla guarigione dello storpio alla Porta Bella di Gerusalemme, che possiamo leggere poco prima (At 3, 1-8). Anche in quell’occasione, Pietro si accerta di parlare chiaro e senza possibilità di fraintendimento. All’avvicinarsi di quello che era un mendico abituale, la sua risposta è sincera, ma precisa:
«Dell’argento e dell’oro io non ne ho; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!» (At 3,6)
Avrebbe potuto cercare di compiacere gli astanti, avrebbe potuto cercare la gloria personale. Pietro, ora, ha capito tante cose, in quanto rivestito di Spirito Santo. La prima e la più importante è che la più grande ricchezza che la Chiesa possieda è Cristo, che va, al tempo stesso, custodito e distribuito. Perché ciò che gratuitamente è stato ricevuto, altrettanto gratuitamente chiede di essere portato per le strade del mondo.
Pietro abbandona, quindi, da un lato la spocchia da supereroe (perché i fatti stessi gli hanno provato che non è lui il Salvatore, ma Cristo, a cui non è necessario aggiungere nulla per la Redenzione perfettamente realizzata nella pienezza dei tempi), ma, dall’altro, anche la vergogna di essere peccatore: è Cristo che ha scelto, è Cristo che si assume la responsabilità di affidare a creature inaffidabili il tesoro del Cielo.
Il Nome stesso di Cristo diventa causa di guarigione e strumento di salvezza, affinché sia chiaro che la potenza “viene da Dio e non da noi”. La premura di Pietro sembra proprio questa: assicurarsi che a nessuno venga in mente di attribuirgli la guarigione dello storpio. È un dono di Dio, di cui Pietro non è altro che tramite, rispecchiando le parole stesse di Cristo (“anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre” – Gv 14, 12).
Queste parole passano talvolta inosservate, ma sono di una grandezza inaudita. Sono la testimonianza che è la stessa volontà di Cristo che, tramite la Chiesa, la Sua opera continui nel mondo: predicando, battezzando, guarendo. In una parola: incorporando, in Cristo, ogni uomo, affinché possa sperimentare l’amore del Padre e gustare, nella libertà di figli non più servi, quella gioia che può avere pienezza solo nella comunione senza fine con Dio, che è il destino a cui ognuno è chiamato.
Cfr. Domenica in albis depositis, rito ambrosiano, anno C, prima lettura dagli Atti degli Apostoli (At 4, 8-24a)
LETTURA At 4, 8-24a
Lettura degli Atti degli Apostoli
In quei giorni. Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati». Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e rendendosi conto che erano persone semplici e senza istruzione, rimanevano stupiti e li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù. Vedendo poi in piedi, vicino a loro, l’uomo che era stato guarito, non sapevano che cosa replicare. Li fecero uscire dal sinedrio e si misero a consultarsi fra loro dicendo: «Che cosa dobbiamo fare a questi uomini? Un segno evidente è avvenuto per opera loro; esso è diventato talmente noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme che non possiamo negarlo. Ma perché non si divulghi maggiormente tra il popolo, proibiamo loro con minacce di parlare ancora ad alcuno in quel nome». Li richiamarono e ordinarono loro di non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni replicarono: «Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Quelli allora, dopo averli ulteriormente minacciati, non trovando in che modo poterli punire, li lasciarono andare a causa del popolo, perché tutti glorificavano Dio per l’accaduto. L’uomo infatti nel quale era avvenuto questo miracolo della guarigione aveva più di quarant’anni. Rimessi in libertà, Pietro e Giovanni andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani. Quando udirono questo, tutti insieme innalzarono la loro voce a Dio.
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