Mai, come in questi giorni, in cui spirano venti di guerra, è opportuno far tesoro dell’insegnamento, che ci viene dal Deuteronomio, di far memoria del bene ricevuto.
È opportuno sottolineare come, in realtà, venti di guerra spirino sempre ed ovunque. È il cuore dell’uomo ad essere “inquieto, finché non riposa in Te” (S. Agostino). Come è la creazione tutta che “geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rm 8, 22), perché questo mondo, così come noi, vive la precarietà ed il tentativo, spesso malfermo, di ritrovare un equilibrio quanto mai insicuro. Ecco, quindi che guerre a contese esterne altro non sono che riflesso dello sconvolgimento interiore, di cui non sempre abbiamo contezza. Del resto, è comprensibile che un conflitto come quello attuale sia avvertito come “vicino”, per il fatto che ucraine sono persone che conosciamo direttamente e russi sono i grandi romanzi della letteratura mondiale. Sono nomi e volti, sono ricordi di pomeriggi di letture, sono persone che salutiamo in ascensore o con cui accompagniamo i figli a scuola, che vivono accanto a noi; magari, si tratta, addirittura, di città che abbiamo visitate. Quando i fatti diventano occhi, volti e nomi, non ci è più possibile vivere un evento con indifferenza, mentre, quando esso è distante, ci sforziamo di rendercelo indifferente perché ci sia innocuo, perché siamo stanchi di vedere sofferenza a angoscia e ci specchiamo in quell’«irresistibile desiderio di riposo e di pace», che abita il cuore di Frodo a Granburrone, durante il Consiglio che precede l’impegnativa decisione che darà vita al lungo viaggio.
Non si può diventare portatore dell’Anello senza essere abitati da un desiderio di pace nel cuore, così come non si può iniziare la Quaresima con il proposito di fare la guerra al demonio. Non è mai possibile partire verso grandi imprese, con la rabbia contro qualcuno nel cuore, tanto più se si tratta di se stessi. Dev’essere chiaro quale sia il fine del viaggio, sin dall’inizio. Si può, al limite, «non conoscere la strada», come ammette il buon Frodo: a questo inconveniente si può sopperire lungo la via, trovandosi una guida che possa mostrare una strada meno battuta, ma efficace. È necessario, però, sapere perché – o, meglio, per chi – s’intraprende un percorso. Sapere ciò consente di oltrepassare i vicoli ciechi, la stanchezza, gli ostacoli esterni. Avere una motivazione forte può fare la differenza tra arrivare fino in fondo e fermarsi a metà strada e ritornare indietro. Più ancora della paura, è la mancanza di motivazione a far recedere dal cammino intrapreso.
È l’amore per la sua terra, l’amicizia, il desiderio di preservare la bellezza della Contea a spingere Frodo verso un viaggio contrassegnato dal pericolo e dall’incertezza, che non potrà che cambiarlo – irreversibilmente – nell’intimo.
È a questo che pensa all’inizio del viaggio. La meta. Così, anche per noi dev’essere chiaro il tendere alla Pasqua di Resurrezione, che viene dopo il Venerdì della Passione. È la Pasqua il fine ed il compimento non solo della Quaresima ma dell’intera venuta di Cristo.
Legare alle mani, come un segno; scrivere sugli stipiti; pendere davanti agli occhi. Ci invita la lettura, nel Deuteronomio. Che cosa è così necessario da ricordare, che abbiamo bisogno che ci capiti davanti agli occhi, persino mentre siamo affaccendati nelle nostre, numerose attività quotidiane?
Che siamo figli amati, avanti a tutto. Alle nostre resistenze ed ostinazioni, al nostro orgoglio e alla nostra matta voglia di indipendenza, prima ancora che innanzi ai nostri peccati abituali, che occludono, almeno in parte, la via della grazia, e rendono ardimentoso raggiungerci per rifornirci di quanto abbiamo bisogno.
Con impegno. Così è chiesto di osservare i comandamenti assegnati, a ricordo di un patto d’amore che va oltre il tempo e lo spazio, si perde in un passato che diventa tradizione familiare e – alle volte – rischia di farci perdere il senso più profondo di ciò che – magari controvoglia – comunque compiamo. È interessante questa modalità richiesta.
Non dice con successo. Sa bene che l’uomo non sempre ha successo, perché è distratto da troppe cose.
Non dice instancabilmente. Perché sa che l’uomo si stanca facilmente, abbandona le intenzioni iniziali, di mille propositi ne porta a termine – ottimisticamente – uno.
Non dice neppure eroicamente. Perché sa che gli eroi sono, spesso loro malgrado, inspiegabilmente, involontariamente. L’eroismo non è per tutti, ma per tutti è l’amore.
Infatti, la richiesta è chiara: con impegno. Un’espressione che ricorda molto quella, famosa, di un santo nostrano, caro ai romani. «State buoni, se potete» diceva san Filippo Neri, Pippo Bono. Sembra un’innocua frase scherzosa e bonaria, che, però, racchiude nel suo guscio una preziosa verità teologica: non tutto è nelle nostre mani, anzi, probabilmente abbiamo nelle nostre mani sempre meno di quanto ci illudiamo di poter trattenere tra le dita. Tutto ci scorre attraverso, come sabbia tra le dita. Di fronte a questa consapevolezza rimangono due strade. La prima è disperarsi di fronte a quanto poco possiamo incidere nel mondo, a quanto piccola potrà essere la nostra impronta su questo suolo. La seconda, però, è quella di affidarci alle mani di Dio, tenendo presente che, nel momento in cui il risultato sarà inferiore alle aspettative, varrà comunque il nostro impegno, unito al desiderio sincero di aderire alla volontà di Dio, anche quando la nostra si mostra fragile e inadeguata risposta al Suo amore – che, al contrario, fedele nei secoli e sempre ardente nei confronti di ciascuno, è in grado di ridonare nuovo vigore ai nostri passi.
LETTURA Dt 6, 4a; 11, 18-28
In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi; le insegnerete ai vostri figli, parlandone quando sarai seduto in casa tua e quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai; le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte, perché siano numerosi i vostri giorni e i giorni dei vostri figli, come i giorni del cielo sopra la terra, nel paese che il Signore ha giurato ai vostri padri di dare loro. Certamente, se osserverete con impegno tutti questi comandi che vi do e li metterete in pratica, amando il Signore, vostro Dio, camminando in tutte le sue vie e tenendovi uniti a lui, il Signore scaccerà dinanzi a voi tutte quelle nazioni e voi v’impadronirete di nazioni più grandi e più potenti di voi. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, sarà vostro: i vostri confini si estenderanno dal deserto al Libano, dal fiume, il fiume Eufrate, al mare occidentale. Nessuno potrà resistere a voi; il Signore, vostro Dio, come vi ha detto, diffonderà la paura e il terrore di voi su tutta la terra che voi calpesterete. Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione, se non obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, e se vi allontanerete dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi non avete conosciuto».
Rif. I lettura festiva ambrosiana, nella II Domenica di Quaresima (della Samaritana), anno C
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