Mi capita tra le mani, all’inizio di ogni Quaresima, un cartello scritto tanti anni fa ma che, cambiando la data, funziona perfettamente all’annunciarsi di tutte le quaresime: “Regalo propositi Quaresima 2021: mai usati, ancora avvolti nel cellophane”. Perchè ogni martedì grasso – naufrago tra frittelle allo zabaione, krapfen alla Nutella, Sacher alla marmellata – ricordo d’aver fatto naufragio nelle buone intenzioni dell’anno passato: son rimaste semplici intenzioni. Eppure mi sentivo un eroe in procinto di partire per l’assalto finale al cuore mio: invece scopro l’ennesimo tentativo fallito di lasciar trionfare Cristo in me. Quest’anno, dunque, non avrei nessuna voglia di imbastire ulteriori tentativi friabili di felicità: “E se nemmeno stavolta ci riuscirò, saprà il mio cuore riprendere fiducia nelle proprie possibilità?” bisbiglia tra sé l’anima mia. La percentuale di riuscirci proprio quest’anno, poi, è ai minimi storici. Figurarsi: “Vedrai: sarà l’ennesima delusione per il mioddio. Tanto vale lasciar perdere già all’inizio: sarà la solita quaresima delle nobili intenzioni”. Questa è l’aria che si respira oggi tra i quartieri e le piazze del mio cuore: d’altronde è qui che succede tutto. Che entrambi si daranno da fare, disperatamente: Cristo è Satàn.
Iddìo, a sentirmi ragionare così, è scocciato: “Non sono affatto d’accordo, piccolonapoleone: giudicherò l’opportunità di riprovarci anche stavolta una volta che l’avrò vista concludersi”. La pensavo alquanto tonta come risposta: invece, pensandoci non esistono quaresime inutili, anche se possono sembrare tutte uguali, come macchine uscite in serie dalla casa madre. Invece ogni quaresima la si vive nel proprio oggi: con i suoi strascichi, i suoi respiri, le sue parole. La quaresima di quest’anno, per fisionomia, è la stessa dell’anno scorso: io, però, non sono più quello dell’anno scorso. Dunque è un’occasione-quaresima nuova di zecca: Dio, anche stavolta, si reinventerà disperatamente, anche di fronte all’evidenza della mia asineria quotidiana. Io, per Lui, resto un sogno testardo e impossibile. Già conosco come si protrarrà la lotta: io a tenerlo fuori dalla porta di casa – mi convincerò, ancora, di potercela fare da solo – e Lui ad obbedirmi: starà fuori. Ma farà avanti-indietro, davanti alla porta, come la sposa del Cantico dei cantici. È difficile da spiegar(mi), ma giura su Se Stesso di non riuscire più a vivere per me restando senza di me. La sua paura, ancora oggi, non è tanto quella che io tradisca Lui, quanto che mi scoraggi definitivamente se, tradendolo, scoprirò d’aver fatto cilecca per l’ennesima volta: “In quel caso, riaprimi la porta e io rimetterò le mani in pasta. A tua disposizione, h24. Il tuoddio”. Troppo orrore: come fa ad assorbire tutto questo?
Anche perchè, a conti fatti, valgo una quotazione di polvere: «Memento, Marco, quia pulvis es et in pulverem reverteris» (“Ricordati, Marco, che polvere sei, in polvere ritornerai”. A che pro, dunque, spendersi per della polvere? Non certo per ciò che è, o per ciò che tornerà ad essere: si spende, testardo com’è, per ciò che potrà diventare, e far diventare, tra il suo inizio e la sua fine. Per ciò che potrà accadere se, soltanto, lascerò leggermente aperta la porta del cuore. È questa, per me, la vera quaresima che non ho mai avuto il coraggio di iniziare: ho sempre troppa fretta di chiudere le partite. Con Dio, però, chi ha fretta di concludere partirà sempre in una posizione di svantaggio. Sarà per la fretta di cuori come il mio se il cristianesimo, oggigiorno, non arrapa più nessuno? Nel frattempo, Dio riquota la sua non-fretta: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, pianti e lamenti (…) Chissà che non cambi, si ravveda, lasci dietro sé una benedizione» ( cfr Gl 2,12-18). Un’altra possibilità, un altro giro di carte. Presto che è tardi!
Ritento la salvezza, in un mondo che (ri)tenta la fortuna. Mi verrebbe solo d’augurare buona fortuna al Dio semper avventuriero: ho il cuore che, quando lo ascolto, pare una riunione di condominio, con l’amministratore che non riesce a proporre una soluzione condivisa. Sono sconsolato, ma lui dice che in questo scatafascio intravede una luce: “Non si è mai troppo vecchi per diventare quello che non si è ancora diventati” mi dice. E io sento una strana allegria al pensiero di riprovarci.