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Per un viaggiatore come il Cristo, si trattava soltanto dell’ennesimo viaggio. No, non vagabondo. Non può esserlo chi sa perché cammina e – soprattutto – per Chi. Quando si ha chiaro questo, non è possibile ciondolare in giro per il mondo, senza meta, senza destinazione. Il viaggio stesso diventa meta, in quanto mezzo per costruire quel Regno di Dio, che non mira ad espandere influenze geopolitiche, né “esportare democrazia”, ma ricordare ad ogni uomo sulla Terra che ha un Padre in Cielo, per cui è anzitutto un figlio amato, di cui è desiderata quella felicità che solo nella libertà dell’amore può vedere la propria realizzazione.
Quel giorno, passava per Gerico, la città fortificata più antica del mondo, situata nella valle del Giordano e nell’altitudine più bassa al mondo perché in prossimità della depressione del Mar Morto, deve la sua fama biblica anzitutto al libro di Giosuè. Sotto il regno di Erode il grande, Gerico raggiunse grande prosperità e prestigio, mentre, per la posizione geografica, si trovava ad essere passaggio obbligato e punto di raccolta nel pellegrinaggio verso Gerusalemme. Gesù passava, per questa ridente cittadina, ora palestinese, causando curiosità, interesse e vivace partecipazione, nei suoi abitanti, che si organizzavano al meglio, pur di riuscire almeno a guardare da vicino quella che si annunciava ormai come una celebrità.  

La calca diventava un ostacolo quasi insormontabile per chi, come Zaccheo, era piccolo di statura. Come se non bastasse, non faceva il lavoro più amato del mondo: riscuoteva le tasse, per conto dei Romani; si diceva, del resto, che fossero ladri e, non solo provvedevano ai romani le imposte degli ebrei, ma ne trattenevano per sé. Forse, erano solo illazioni per un lavoro odiato ed odioso, per di più a vantaggio dell’insopportabile invasore romano; forse, non era così per tutti, nonostante fosse un comportamento piuttosto diffuso. Pare, però che Zaccheo corrispondesse pienamente alla tipologia deteriore di esattore delle tasse. E ne era pienamente consapevole. 
Era chiaro, quindi, come la sua presenza non fosse molto amata e, di certo, nessuno avrebbe favorito il suo avvicinamento a Cristo e, del resto, lui per primo, avrebbe preferito non dare troppo nell’occhio. Era chiaro, quindi, che, se avesse voluto raggiungere il proprio obiettivo, avrebbe potuto contare su di sé, sulla creatività e anche su quella discrezione che non avrebbe guastato il risultato finale e che gli avrebbe consentito di gustarsi la scena, senza compromettersi in prima persona, né attirare gli sguardi su di sé, con il rischio di essere allontanato in malo modo. Ecco, allora, l’idea, precedere Gesù, così da vederlo avanzare, ma garantirsi anche un punto di osservazione elevato, così da non essere impedito da tutta quella folla che si accalcava lungo la strada percorsa. Un sicomoro come fido alleato, oltre alla destrezza di gambe e braccia; sarà stato basso e pubblicano, ma non si accumulano mai tutti i mali in una persona sola: l’agilità non gli faceva difetto e lo portò, quindi a raggiungere uno tra i primi rami. Era abbastanza solido e le foglie potevano coprirne il volto, così da poter avere un posto assicurato in prima fila, senza però essere disturbato da chicchessia, riconosciuto e guardato con quel disprezzo a cui non si era mai abituato. 

Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» 

Mi è sempre difficile pensare che l’entusiasmo sia stata la prima reazione, in senso assoluto. Difficile pensare che possa travalicare – immediatamente – tutti i suoi progetti di discrezione, senza battere ciglio. Senza provare un minimo d’imbarazzo, di confusione, di vergogna, perfino quella punta di dispetto, che sorge di fronte a chi “rompe le uova nel paniere” e scombina, completamente, i tuoi piani. 
Pare – del resto – che sia l’abitudine preferita di Dio, a leggere la Bibbia (ma anche le vite dei santi!) quella di scombinare i piani dell’uomo. Che sia pronto o no, quando Cristo fiuta un cuore in ricerca, non può che autoinvitarsi, tanto Zaccheo scese in fretta e lo accolse pieno di gioia.
Un invito, che, però, non è molto apprezzato da chi osserva. Come può il Messia fermarsi a mangiare coi peccatori? Forse, anche a noi viene questo pensiero, nonostante “non sono i sani ad avere del bisogno del medico, ma i malati”. Magari, il problema è proprio che facciamo fatica ad annoverare noi stessi tra i peccatori. Magari siamo di quelli che, alla richiesta di Cristo, risponderemmo: “Non ora, non oggi. Ho tutto in disordine. Non posso ospitarti!”. Forse, ancora oggi, è difficile comprendere la logica di Dio. Pretendiamo che la Chiesa sia perfetta, esigiamo di ricevere buoni esempi da chi dice di seguire il Signore. Da una parte, è comprensibile (“umano”) richiedere coerenza ed autenticità; bisogna però fare attenzione che non si trasformi in quel perfezionismo che allontana dalla sequela. Cristo non cerca perfetti. Cristo è perfetto. Non si cerca se non ciò che manca. Ma se Cristo è Dio, cosa gli manca? Nulla, infatti. Non è per sé che cerca. È per noi che ci cerca. Vede la nostra ricerca e ci viene incontro.  
Lì dove siamo. Spesso: lì dove siamo in difficoltà. È quello il punto in cui inizia la nostra sequela. Che non è perfetta, che non è senza macchia e – molto spesso – non è neppure senza paura. Non è altro che il nostro tentativo di rispondere al richiamo della Bellezza. A volte, in modo goffo, impacciato, inadeguato, anche quando autenticamente  sincero.

Come Zaccheo che, forse, proprio nel tentativo di rispolverare la credibilità messianica di quell’uomo che gli aveva restituito il sorriso e la dignità, si lancia in una promessa più grande di lui:  

«Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto» 

Dai, Zaccheo, mira giusto. È il primo commento che affiora alle labbra, tanta è la familiarità con quei buoni propositi accomunati dal loro – inevitabile – esito: un sonoro fallimento, come avviene quando, sulle ali dell’entusiasmo, galvanizzati da un evento, ci illudiamo di poter cambiare e fare un’inversione a U in un carugio ligure. 
Ma Cristo non ride, anzi prende a cuore quelle parole come il più solenne dei giuramenti. «Oggi per questa casa è venuta la salvezza» attesta, senza la minima ombra di dubbio.  
E se lo attesta Lui, che legge i cuori, significa che l’entusiasmo gaglioffo di Zaccheo è andato a buon fine. Quel birbante ha saputo dare seguito a quella tavola imbandita, in quel di Gerico.  
Non compare più, nel Vangelo, ma possiamo esserne certi: la rivoluzione del suo cuore aveva fatto il suo corso, trovando in quel cuore avido solo un uomo in cerca di Qualcuno a cui consegnare ciò che di più prezioso gli abitava nel cuore.  

 


Rif. letture festive ambrosiane, nell’ultima domenica dopo l’Epifania, o “del Perdono”, anno C – Lc 19, 1-10

Fonte immagine: Zaccheo sul sicomoro

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