L’eunuco, lo straniero. I reietti, gli esclusi. Quelli che, inevitabilmente, erano rimasti ai bordi della strada del successo. Ai margini della comunità, come ai margini di un foglio protocollo.
Relegati in un angolo, a malapena sopportati, il più delle volte allontanati, perché non abbastanza per potere essere considerati parte del gruppo.
Eunuco. È chi non può generare. Potremmo dire chi è sterile, ma il concetto, nel tempo, ha assunto in realtà una variegata girandola di significati. A partire dal motivo di questa condizione. Anche nel Vangelo, Gesù, parlando di questa condizione (Mt 19, 12), sottolinea varie distinzioni nelle forme della sua applicazione. Eunuchi erano gli addetti al controllo degli harem: la loro condizione li rendeva particolarmente adatti a questo ruolo. Molti di questi ebbero modo di fare anche carriera, in ambito amministrato, fino a divenire consiglieri personali o alti funzionari di corte. Tuttavia, la loro particolare condizione manteneva un sostanziale stigma sociale che li faceva, di fatto, ugualmente, rimanere ai margini, rispetto alla comunità. Un ruolo, magari ben remunerato, ma che li ricompensava con altrettanta solitudine.
Straniero. Per qualcuno, anche noi lo siamo. Chiunque lo è. E, nella società antica, uno straniero era una persona che emergeva e si distingueva particolarmente rispetto al gruppo sociale. Quando non era per la differenza, spesso la diversità emergeva per la difficoltà nel padroneggiare la lingua della nuova comunità. Ricordiamo, poi, che la comunità era un corpo unico a livello non solo sociale, ma, quasi sempre, politico, economico e religioso. Basti ricordare come JHWH sia, inizialmente, un “Dio nazionale”, il Dio degli Israeliti, che impone solo gradualmente una presenza unica, che comporta la nascita del primo monoteismo della storia umana.
Stiamo parlando di millenni fa (IV secolo a.C. circa, secondo la storiografia più accreditata), eppure, come sempre, quando si parla del cuore dell’uomo, stiamo parlando di un argomento attualissimo.
Sin da piccoli, questa dinamica si manifesta. Nel gruppo dei pari, c’è sempre chi spicca. Per simpatia, vivacità. A qualcuno è riconosciuto il ruolo di leader e le sue parole valgono più di quelle di chiunque altro. Può decidere chi gioca e chi no, può escludere qualche altro bambino, per qualunque motivo. In ogni gruppo, ci sono poi i conformisti, che non è emergono, ma sanno – per istinto, per convenienza, per educazione ricevuta – in che modo comportarsi per avere approvazione e, conseguentemente, tendono a riceverne con generosità dal gruppo dei pari. Ci sono poi gli eccentrici, inteso in senso ampio e non necessariamente negativo. Sono tutti quelli che, per qualche motivo, non si conformano in modo immediato. Il loro stile è diverso, hanno interessi particolari, oppure qualche difetto che gli altri considerano irrimediabile (quale sia dipende dal contesto storico e sociale specifico, ma è una dinamica che non conosce tempo e spazio).
Ecco: questi. Cambiano i nomi, non la dinamica. I diversi sono un pugno nell’occhio. Incrinano l’uniformità, mettono in crisi l’identità, costringono tutti gli altri a farsi domande. In una parola: sono scomodi. Potremmo dire che rappresentano precisamente la scomodità della condivisione di tempo e di spazio che implica la comunità. Vivere assieme comporta senz’altro tanti aspetti positivi, a partire dalla possibilità di non fare i conti con la solitudine. Al contempo, però, ci obbliga a metterci in discussione, a confrontarci con la pensa in modo diverso e, conseguentemente, a mettere in campo l’arte del compromesso e dell’accomodamento, che consente di vivere insieme ad altre persone, senza che gli inevitabili attrito finiscano con tragiche conseguenze.
Dio, tramite il suo profeta, ci lascia con una garanzia: il Suo sguardo non si sofferma su quel motivo di fastidio che può renderci indigesti. C’è una proposta, che è per tutti. Chi sceglie di aderire, liberamente, non ha motivo di essere scartato. È la volontà di Dio il vero discrimine, o, meglio: come ciascuno di noi sceglie di porsi innanzi ad essa. Se scegliamo di giocarci la vita, se vogliamo rendere concreta la nostra scelta per Dio, già dal primo momento abbiamo una garanzia. Non ci mancherà un amore di Padre a farci compagnia, al di là degli inevitabili tradimenti che la nostra fragilità regalerà alla Sua fedeltà. Immagine del rapporto con Dio, un’altalena che, pur andando su e giù per la nostra incostanza, non smette di dondolare, perché Dio ci ama d’amore fedele.
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Prima lettura festiva ambrosiana, nella VI domenica dopo l’Epifania, anno C :
LETTURA Is 56, 1-8
In quei giorni. Così dice il Signore: «Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi». Beato l’uomo che così agisce e il figlio dell’uomo che a questo si attiene, che osserva il sabato senza profanarlo, che preserva la sua mano da ogni male. Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: «Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!». Non dica l’eunuco: «Ecco, io sono un albero secco!». Poiché così dice il Signore: «Agli eunuchi che osservano i miei sabati, preferiscono quello che a me piace e restano fermi nella mia alleanza, io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome più prezioso che figli e figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli». Oracolo del Signore Dio, che raduna i dispersi d’Israele: «Io ne radunerò ancora altri, oltre quelli già radunati».