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Torna, questa settimana, il Giorno della Memoria. Torna, come ogni anno a ridestarci, a scuoterci di fronte alla barbarie, a sussurrarci: – È stato fatto, non sia mai più.
Torna il tempo di ricordare non solo la questione ebraica, ma ciò che ha portato alla shoah, al male, quel male, quello dei campi di concentramento, dove l’altro non era più un fratello o una sorella, neppure un nemico, ma un incomodo da eliminare, di cui liberarsi. In fretta.
È significativo che il premio Strega Giovani 2021 sia andato proprio ad un libro, Il pane perduto, che di quei tristi eventi fa dolorosamente memoria. Perché vuol dire che i giovani, fortunatamente, rimangono ancora pietrificati dinnanzi a quei racconti, a quelle storie, a quelle barbariche vicende e, di fondo, si chiedono tutti: – Come è stato possibile?

L’autrice, Edith Bruck, che già aveva scritto della sua drammatica esperienza ad Auschwitz, anzi, potremmo dire che tutta la sua bibliografia è composta dallo sforzo doloroso di mettere nero su bianco quell’orrore, ha avuto anche l’occasione di ricevere a casa sua papa Francesco (o è stato papa Francesco ad avere l’onore di poter incontrare una testimone vivente di quel male assoluto?). Lei stessa ha poi confessato che il papa era stato uno dei suoi primissimi lettori de Il pane perduto ed è stato lui che l’ha calmata dall’agitazione che l’aveva colta nel vederlo apparire sul pianerottolo, il giorno che si sono incontrati.

Per un credente, Edith Bruck rappresenta un caso, non certo l’unico, di chi di fronte a quell’orrore non ha rinunciato a Dio, grazie anche agli esempi di fede avuti in famiglia, come nel caso di Edith, la cui mamma resterà sempre luce, modello esemplare di fiducia in Adonai.

Mamma che torna pure in una delle pochissime poesie composte dall’autrice, una poesia struggente, pregna di dolore, da cui è impossibile uscirne non commossi.

Madre-Dio, questo il titolo, dice così, in alcune sue parti:

[…]
Adesso penso a te
tutte le sere
prima di dormire
e so che tu sei stata
e sei la mia salvezza.
[…]
Nel vagone
mi hai incantata
con il tuo magico sorriso
e le tue mani buone
hanno infiocchettato
i miei capelli biondi.
E Lì, Lì durante la selezione
mi urlavi: “Obbedisci, obbedisci!”
mentre un soldato
mi ha strappato dalla tua carne.
[…]
Eri sempre tu la mia salvezza
anche quando avevo capito
che sei diventata Dio-cenere.
[…]
Eri sempre tu
che mi hai rimesso alla luce
dopo essere precipitata
nell’abisso nero
per un infarto,
mi hai restituito la parola
dopo un ictus
per lodarti, per invocarti
e contare su di te
fino alla fine,
mia unica Madre-Dio.
Dio-cenere. Madre-dio.

Nei suoi libri, particolarmente in quest’ultimo, si evince il rapporto inscindibile tra Edith e sua madre, un rapporto duro e a volte astioso in vita, ma che si rivela, anche in quelle litigate, segnato da un amore assoluto tra madre e figlia.
Ma c’è un’altra inscindibilità, un altro rapporto difficile, ma sempre costante: quello con Dio.
Il pane perduto termina, infatti, con una lettera aperta, franca, ad Adonai, al Signore, al Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe. Un breve testo, di appena qualche pagina, in cui si respira una fede difficile, a volte dubbiosa, che deve fare i conti con quanto hanno visto i proprio occhi e con quanto ha patito la propria carne, ma che pur sempre fede è.

Io, che ho sempre scritto d’un fiato giorno dopo giorno, ora improvvisamente mi fermo con la mano sospesa e lo
sguardo fisso sul vuoto, è nel vuoto che Ti cerco.
Noi non abbiamo né il Purgatorio né il Paradiso ma l’Inferno l’ho conosciuto, dove il dito di Mengele indicava la sinistra che era il fuoco e la destra l’agonia del lavoro, gli esperimenti e la morte per la fame e il freddo. […] Perché non hai spezzato quel dito?


Poco più avanti, invece, emerge la questione della sopravvivenza, di chi in quei campi non è morto e deve portarsi addosso il fardello della memoria:

Oh, Tu, Grande Silenzio, se Tu sapessi delle mie paure, di tutto ma non di Te. Se sono sopravvissuta, avrà un senso. No?
Ti prego, per la prima volta ti chiedo qualcosa: la memoria, che è il mio pane quotidiano, per me infedele fedele, non lasciarmi nel buio, ho ancora da illuminare qualche coscienza […]

È una testimonianza dura, quella di Edith Bruck, che non tralascia nulla della crudeltà di quanto è accaduto… e come potrebbe farlo?

Però il suo è un testimoniare sempre sostenuto dalla speranza che il male da lei vissuto non abbia più a ripetersi. Se uno che è passato per Auschwitz spera ancora che Dio esista, che Auschwitz non si stata la dimostrazione della sua inesistenza, allora abbiamo motivo di sperare anche noi, che quel mal non abbiamo.


 Fonte immagine: Avvenire

Alberto Trevellin (Padova 1988), laureato in scienze religiose prima a Padova, poi a Venezia, è insegnante di religione. Sostiene che i bambini salveranno il mondo e che senza di essi non potrebbe vivere. La mattina, quando si sveglia, guarda verso il monte Grappa, per il quale ha un amore smisurato. Ama camminare tra le alte cime delle Dolomiti, correre in mezzo ai boschi, andare per sentieri sconosciuti. È sposato con una donna che crede affidatagli da Dio e ha due bambine bellissime quanto vispe.

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