Adamo, mio padre Adamo, da ricco che era – «a immagine di Dio lo creò» (Gen 1,27) – s’è ridotto a fare lo straccione: è diventato un poveraccio, si è visto mettere le manette ai polsi, ha perduto persino la vista. Chi lo vede, non teme di dire che è afflitto a dismisura. Eppure Iddio, quella volta, l’aveva fatto così bene, molto bene, benissimo. L’avea ideato «poco meno degli angeli», coronandolo di gloria e di onore (cfr Sal 8). Gli aveva dato una faccia aperta: pulita, celestiale, divina. Chissà, poi, cosa gli è passato per la testa per dare retta a quel pirlone di Satàn che, abbindolandolo come un fesso, l’ha ridotto in schiavitù. E’ bastata la castroneria di una promessa, quella di diventare come Dio, perchè l’uomo e la donna smarrissero la loro identità. Finì che Dio mandò gambe all’aria tutti e tre: l’uomo a rivangare la terra sudando, la donna a partorire gemendo. Satanasso, il mandante del colpo, a strisciare per terra vita natural durante. Intimidito da una Donna che, a tempo debito, gli aprirà il capo come una scatoletta di tonno.
Chi l’ha visto accadere in diretta, o lo ascolta millenni dopo, pensa la stessa identica cosa: “Potrai essere Dio oppure l’ultimo tra gli umani, ma la musica non cambia: è impossibile incazzarsi in questa maniera se non si è capaci di amare profondamente!” Davvero: un furore così era impossibile e impensabile senza un grande amore. E Dio, già all’indomani di quella disfatta, lo ammise: ammise apertamente che l’uomo e la donna gli mancavano. Lo disse in un modo tutto suo, riservando all’uomo la sua prima parola pronunciata nella Scrittura Sacra: «Dove sei?» (Gen 3,9). Mai, prima d’allora, Dio aveva aperto bocca: le persone reagiscono in maniera diversa al proprio passato. Fu lì che, per non darla vinta al Satàn imbecille, Dio iniziò a fantasticare su come andare a recuperare l’uomo ch’era caduto nella trappola di fare le valigie e andarsene dalla casa del Padre suo. “Fuggire dal passato? Come fare, Evammia? Ciò ch’è accaduto è accaduto” (Eva) E d’imparare a perdonare noi stessi, che ne diresti Adamo?” Che non potesse finire per sempre così erano d’accordo entrambi. Su come venirne fuori, però, le idee erano povere, confuse, scontornate. Come quelle di chi non ha più le idee chiare nemmeno su chi è lui.
Fu così che fece tutto Dio, un’altra volta: per l’ennesima volta. Pur tradito, avvertì una fitta al cuore vedendo come si erano ridotti andando dietro a quel buffone e pensando a quant’erano belli appena usciti dalle sue mani. Fu lì che si accese il pensiero che, anche stavolta, avrebbe dovuto essere lui a fare il primo passo: non poteva cambiare quel capitolo triste della loro storia più di quanto si possa modificare una data di nascita. “Non mi resta che andare giù da loro e giocare d’anticipo, anche stavolta. Senza rimarcare loro la vergogna che già avvertiranno nell’udire i miei passi”. Passano i millenni, sfilano centinaia di profeti, si svuotano altrettante profezie: tutti a dire che il soccorso è dato in arrivo, che basta attendere ancora un po’, che le viscere di Dio sono sotto pressione. “Sono parole, solo parole, le solite parole!” insinuava Satàn rotolandosi nel pastrocchio creato.
Dio, nel frattempo, aspettava il momento migliore, perchè il giorno maturasse come un fico sull’albero: l’impazienza è nemica del cacciatore. Un giorno, poi, quando nessuno se l’aspettava e pareva che tutti avessero tirato i remi in barca, si alzò (era già in mezzo a loro ma nessuno s’era ancora accorto): Eccomi: forza, tuttiinpiedi! Lo disse con parole strane, in modo che capissero che Lui non era un ingannatore, che ricordassero che qualcuno dei suoi ambasciatori l’aveva anticipato. Tipo Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me (…) per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato». Era venuto giù per riparare la macchina dell’uomo guastata da Satàn. Per recapitare ai poveri, finalmente, una buona notizia; ai galeotti la libertà, agli orbi due occhi nuovi, agli angariati l’esultanza. «Gli occhi erano fissi su di lui», tutt’intenti a sentire in quale giorno sarebbe accaduto ciò. Quando lo disse, furono colti da immenso stupore: «Oggi si è adempiuta questa promessa». In questo stesso momento, sotto gli occhi, senza che s’accorgessero. Chi volle capire, però, capì di non desiderare nient’altro rispetto a quello che stava accadendo. Funziona sempre così con Dio, dagli inizi ad oggi: alla fine è sempre all’improvviso. 

(da Il Sussidiario22 gennaio 2022)

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». (Vangelo di Luca 1,1-4; 4,14-21)


Editoriali del Tempo Ordinario

II^ Domenica del Tempo Ordinario, Sia fatta la tua libertà15 gennaio 2002

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