Introduzione: il libro di Ester
Il libro di Ester è molto particolare e questo aspetto va tenuto particolarmente presente, nell’affrontarne la lettura, senza eccedere né nell’idealismo né nel realismo.
L’opera, ambientata in epoca persiana (538-333 a.C.), relativamente tranquilla, mostra invece un clima di tensione elevata che sembra piuttosto riflettere l’atmosfera eroica e bellicosa delle lotte maccabaiche (II sec. a.C.).
La struttura
La struttura del racconto, anzitutto, fortemente simmetrica, suggerisce un’interpretazione in chiave simbolica dell’intero libro, per cui è difficile pensare ad un effettivo realismo cronachistico, pur non essendo da escludere che vi possa essere una certa “ispirazione” a uno o più personaggi effettivamente esisti. Vi è infatti una netta contrapposizione, da una parte, tra le figure femminili di Vasti, a cui subentra Ester come regina dell’impero persiano, a fianco del re Assuero (in genere, identificato con Serse), così come tra quelle maschili di Aman e Mardocheo, entrambi primi ministri. In una sorta di gioco di doppio, i due personaggi ebrei riescono a sconfiggere i pregiudizi di chi governa e, entrando nelle sue grazie, a diventare strumento di salvezza per sé e per gli altri, non prima, però di aver mostrato la propria disposizione a combattere in prima persona, mettendo a rischio la propria incolumità.
il racconto
Ester diventa la seconda moglie del re persiano, subentrando alla precedente, rigettata per un rifiuto d’obbedienza: l’estrema bellezza e grazia della giovane colpiscono così tanto il re, che essa diventa la sua preferita. Ester appartiene al gruppo di ebrei che sono stati deportati: è pienamente consapevole del proprio privilegio e questa consapevolezza fa sì che ella lo viva con senso di responsabilità.
Banchetti a confronto
Nel brano liturgico, abbiamo, come in quello evangelico, un riferimento ad un banchetto. È in un banchetto che avviene la richiesta, che diventa portatrice di morte per uno, ma salvezza per molti.
Da una parte, vediamo la richiesta avanzata dalla figlia di Erodiade, per conto della madre, al banchetto di Erode (Mc 6, 17-29), dall’altra la richiesta di Maria, durante le nozze di Cana (Gv 2, 1-11).
Il palazzo di Erode e Cana di Galilea
La prima risuona ai nostri orecchi per l’inevitabile somiglianza con quella garanzia “Fosse pure metà del mio regno, sarà tua” che promette che, per quanto avido possa essere il ricco, è così stupito o disposto a cedere al fascino (intellettuale, estetico o un mix dei due) da acconsentire ad una perdita enorme, pur di accontentare un desiderio altrui. Ricordiamo, ad esempio, che, prima di quel banchetto, Erode non aveva avuto il coraggio di decapitare subito il Battista (né di eseguire una differente pena capitale) perché era affascinato ed intimorito dalla sua autorevolezza (“temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri” Mc 6, 20). Un’altra somiglianza che possiamo vedere è, del resto, che, appena dopo il banchetto (raccontato nei capitoli successivi a quello presentato dalla liturgia), abbiamo l’esecuzione di Aman: con una sorta di contrappasso che ricorda quelli danteschi, Aman, che voleva impalare il rivale Mardocheo, si ritrova giustiziato proprio con lo stesso strumento che egli aveva preparato per tale uso.
L’epilo agrodolce veterotestamentario
Forse un tale epilogo lascia un po’ interdetta la nostra sensibilità giuridica europea, che tende a considerare, con il Beccaria, un pessimo esempio di stato quello che ricorra alla pena di morte per i propri cittadini. È bene ricordare come l’influenza del senso storico di chi scrive non sia esente dai libri biblici. Quanto preme ricordare è che la rivelazione di Ester consente di fare verità, rivelando i loschi piani di Aman nei confronti degli ebrei e “aprendo gli occhi” all’ignaro sovrano. Una donna, tramite fascino e furbizia, riesce a mettere in guardia il re, fare verità e ripristinare la giustizia; non prima, però, di aver rischiato in prima persona di poter contristare ella stessa il re, esponendosi, quindi a conseguenze altrettanto nefaste di quelle di Aman.
…e il lieto fine evangelico
Le parole della Madonna (“Qualsiasi cosa vi dica, fatela”) ricordano il valore del Verbo di Dio, incarnato in Cristo Gesù, l’Uomo-Dio, che era con il Padre sin dalla Creazione e la cui Parola è via, verità e vita (Gv 14), Parola efficace, capace di donare l’esistenza ad ogni cosa e a rinnovare, nella verità dello Spirito, le proprie creature. In questo caso, abbiamo l’amato lieto-fine: l’acqua, tramutata in vino, lascia tutti “felici e contenti” (qualcuno, forse, addirittura “ubriaco e contento”; il vangelo non specifica, ma l’esperienza empirica suggerisce che non sarebbe poi un epilogo così insolito…). La richiesta della Madonna, esaudita da Cristo, consente alla festa di non “spegnersi”, agli invitati di continuare a festeggiare e agli sposi di non concludere la festa con un memorabile imbarazzo. Rispetto agli altri episodi, non abbiamo spargimento di sangue, eppure abbiamo, in ogni caso, la prefigurazione di quel Corpo e Sangue di Cristo che fanno, della Chiesa, un Corpo solo con il proprio Capo, Cristo.
L’Agnello nel mezzo
Perché, nel mezzo, tra tutti questi episodi, è inevitabile vederci il segno di cui tutto il resto è simbolo: quel segno che dà senso a tutto il resto, nel quale è possibile leggere l’intera Scrittura, l’Antico Testamento come prefigurazione, il Nuovo come compimento. Quell’ agnello immolato fin dalla fondazione del mondo (Ap 13,8) che è il Re disposto ad un sacrificio ben maggiore della metà del proprio regno, pur di condurci nella gioia eterna, senza fine, che è propria dei figli amati da Dio.
Rif. Est 5, 1-1c. 2-5 -prima lettura festiva ambrosiana, nella II Domenica dopo l’Epifania
Il terzo giorno, quando ebbe finito di pregare, Ester si tolse gli abiti servili e si rivestì di quelli sontuosi. Fattasi splendida, invocò quel Dio che su tutti veglia e tutti salva, e prese con sé due ancelle. Su di una si appoggiava con apparente mollezza, mentre l’altra la seguiva sollevando il manto di lei. Era rosea nel fiore della sua bellezza: il suo viso era lieto, come ispirato a benevolenza, ma il suo cuore era oppresso dalla paura. Attraversate tutte le porte, si fermò davanti al re. Egli stava seduto sul suo trono regale e rivestiva i suoi ornamenti ufficiali: era tutto splendente di oro e di pietre preziose e aveva un aspetto che incuteva paura. Alzato lo scettro d’oro, lo posò sul collo di lei, la baciò e le disse: «Parlami!». Gli disse: «Ti ho visto, signore, come un angelo di Dio e il mio cuore è rimasto sconvolto per timore della tua gloria: tu sei ammirevole, signore, e il tuo volto è pieno d’incanto». Mentre parlava, cadde svenuta; il re si turbò e tutti i suoi servi cercavano di rincuorarla. Allora il re le disse: «Che cosa vuoi, Ester, e qual è la tua richiesta? Fosse pure metà del mio regno, sarà tua». Ester rispose: «Oggi è un giorno speciale per me: se così piace al re, venga egli con Amàn al banchetto che oggi io darò». Disse il re: «Fate venire presto Amàn, per compiere quello che Ester ha detto». E ambedue vennero al banchetto di cui aveva parlato Ester.
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Fonte: BibbiaEDU