Quei numeri scritti hanno la veemenza di una scatola di pallottole sparate dritte in volto, senza preavviso alcuno: 216mila persone aggredite (sessualmente) negli ultimi settant’anni in terra di Francia. Soprattutto ragazzini fra dieci e tredici anni. “Maledetti mostri – penseranno i lettori – Lerci malvagi, devono marcire dentro, subito!” Altri, pseudo-spirituali: “Questo è la conseguenza del fatto che la gente non frequenta più la chiesa”. Poi prendi per mano il fegato e l’accompagni a prendersi la sberla nel volto: ad infliggere questa peste-pestifera non sono stati dei mostri marini fuoriusciti dall’acqua ma sono stati tra 2900 e 3200 preti e religiosi che un’apposita commissione d’inchiesta definisce, con accuratezza penale di termini, «pedocriminali». È l’annullamento stesso della sacralità: da alter Christus qual è, il prete si fa uomo della criminalità. Della criminalità organizzata, tra l’altro. Nessuna esagerazione d’espressione: per “organizzazione” si intende soprattutto la complicità del silenzio, la declassificazione dell’orrore in errore, la negligenza di chi ancora non capisce che la Grazia non si fa prendere per i fondelli dai suoi professionisti. Il numero 216mila non è un monolite: non esiste questo numero in natura. Esiste l’uno, il singolo, che, sommato ad altri singoli, fa nascere tutti gli altri numeri a seguire: dal due in poi, fino al duecentomila, oltre. Il risultato è di un’evidenza incontrovertibile: questo non è un errore accaduto una volta, è un orrore perpetuato per duecentosedicimila volte. Non solo numeri ma storie schifosissime di abusi, di violenze, di crimini di una guerra che insistiamo, chissà perché, a non accettare di definire guerra. Forse per non dover andare in guerra?
Qui, parabola alla mano, il Cristo-Pastore non sta più andando in cerca d’una pecorella perduta, ma della pecora più grande che si è perduta, quella alla quale aveva detto: “Quando manco io, proteggerai tu le tue sorelle”. Perchè Cristo, tra carni violate e macchie di sangue, sta dannatamente cercando la sua Chiesa: gliel’ha rapita Satàn, è andata a ficcarsi così dentro il Male da non accorgersi manco più del Male tant’è malvagio un certo suo modo di fare. Il Pastore è in panne: non ha un piano-b, senza la sua Chiesa il suo piano di salvezza si complica. Non è più manco sicuro, a dirla tutta, che la pecora-più-grande abbia voglia di lasciarsi trovare. E’ la sua preoccupazione più preoccupante: il sospetto di non essere più il cuore, al cuore, dell’interesse della sua Chiesa. E’ questa l’altra faccia della bella parabola: non basta che il Padrone si scomodi per andare a cercarla, ma è necessario che lei si faccia trovare. Dio sa fare salti-mortali pur di vederla salvata, ma non è così sicuro che la pecora abbia voglia di far i salti mortali per uscire fuori e farsi prendere la mano dal salvatore. “Cosa volete – tagliano corto i (troppi) collusi -: può starci che qualcuno smarrisca la via”. Per qualcuno si può usare, forse, il verbo “smarrire”: ma quando sono tremila uomini ad essere coinvolti, quasi un paese intero, non è più (solo) smarrimento, si tratta di un’autostrada intasatissima, confusa, dove il traffico è da bollino nero-fluorescente. È quasi-tutto da riprendere in mano.
Mai come in questi macellerie percepiamo sulla pelle che cos’è il corpo della Chiesa. Qui non vale la scusante: “Per colpa di uno non devono pagare tutti”. Qui non è più il singolo ad essere ferito, è il corpo intero: per colpa di un’unghia incarnita anche la testa ribolle, e a causa di un fastidio all’alluce la schiena patisce. La Scrittura Sacra, quando si mette a vivisezionare il male, fa un male-boia da quanto è millimetrica. E quaggiù, fra poco, non si saprà più nemmeno da dove ricominciare. Certo, ripartiremo (ancora una volta) da Cristo: la teologia, però, non può più bastare. Qui è necessario un castigo da espiare in tutta la sua veemenza, un atto di dolore perpetuo nel quale accettar fino all’osso quella frase che, a volte, vorremmo tranciare via perché poco-intellegibile – diciamo noi, sbugiardandoci – al cuore moderno del cristiano: «Perché peccando ho meritato i tuoi castighi, e molto più perché ho offeso te». Di un castigo abbiamo bisogno, perché le ammonizioni sono diventate palliativi, poco più che dei lassativi. A patto che il Male non ci abbia già così conquistati da non accorgerci manco più che il castigo-amorevole di Dio è già all’opera: sono le chiese vuote. Che, come i vasetti di marmellata a casa, “si sono svuotate da sole!”, ci auto-assolviamo nei nostri enclave ecclesiali. Mentre sempre più gente tenta d’arrivare a Cristo direttamente, senza più passare per le porte della sua Chiesa: “Ho (tanta) paura!”, bisbigliano.
Resta il fatto che, oggi, lo sciacquone del bagno ha rubato il posto all’acquasantiera all’ingresso della chiesa. Che, a causa del Covid-19, non ha manco più l’acqua per potersi farsi un segno di croce. Se non per fede, anche solo per scaramanzia.
(da Il Sussidiario, 7 ottobre 2021)