polline

In punta di piedi, a bassavoce. Sottovoce: «In principio Dio creò» (Gen 1,1). Prima d’allora la Scrittura tace. Dio, però, aveva già le mani in pasta: in principio immaginò. Quando a regnare era il nulla, l’inimmaginabile si infiammava nella mente del Creatore. Quando aprì bottega, portò in alta definizione ciò che prima era in bassa. Il suo sogno si fece carne, e venne ad abitare nel giardino: «E Dio creò l’uomo a sua immagine» (1,27). Dio e l’uomo, a trastullarsi insieme. Dando forma all’umano. Fu così che venne al mondo il mondo: desiderato da un Dio desiderante. L’uomo è il desiderio di Dio. D’allora, tutto come allora: è desiderio di Dio l’essere desiderato dall’uomo. Agostino, con parole furiose come lama scintillante, abbozzerà parole dorate attorno al Cristo con la donna samaritana: «Colui che le domandava da bere, aveva sete del desiderio di quella donna». Il pozzo, l’acqua, la sete e il desiderio. E’ dell’amore svestire per rivestire. Intimità.
Leggere la Scrittura è vivere in stato d’assedio, contrastare le intemperie del Cielo. Stare nudi sotto una cupola di parole: sono porte strette, feritoie, fessure e finestre. Parole di seta, di tuono, di schiamazzi. Di sangue e mattanza, aspre e dolcissime, d’andata e di ritorno. Parole di manutenzione umana: acuiscono le finestre dei sensi, stimolano l’appetito dei passi, leccano i graffi di guerra. Sono parola di Dio, il preludio della Parola: «E il Verbo si fece carne» (Gv 1,14). Tutto ciò che precedette – profeti e vaticini, mattanze e benedizioni, donne e sguardi – fu l’annunciazione del Cielo alla Terra: “Dio è affidabile, non temete!” Fu reso obbligatorio quell’annuncio così lungo, largo. Lucifero, il pesticida della storia, si divertì ad infangare il giardino col gioco dei sospetti: “In alto le orecchie, Adamo. Dio è geloso della vostra felicità. Credimi, Eva”. La luce spaventa i pipistrelli, la bellezza allarma l’inferno. L’uomo e la donna caddero. Dio, di una Donna, fece il loro salvataggio: «(Lucifero) questa ti schiaccerà la testa» (Gen 3,15). Per quel primo mandato di cattura internazionale, s’imbastì guerra mondiale. E’ in corso.
Dalla Genesi all’Apocalisse, tra luci e ombre, si accende il chiaroscuro della vita: nessuna esigenza di cronaca, solamente sprazzi d’eternità raccontati con il sapore della vita. Il lettore rimane stordito dall’assenza di risposte nei testi sacri: la risposta, sovente, è arroganza. Staziona, invece, un serbatoio di domande: le domande, quando sono d’interesse, sono risposta a tutto: «Adamo, dove sei?» (Gen 3,9). E’ Dio a formularla, è la creatura che Gli manca: Dio, senza l’uomo, è una musica che va cercando un pentagramma sul quale posarsi. Quando leggo i righi sacri – rattrappito dentro il ferro-cemento di una patria galera – m’accorgo dell’insufficienza della vita. Come se aumentando il divino sbiadisse l’umano: è opera di chiarore la cura di Dio. Più che camminare, permette di respirare: il suo salotto è la strada, la sua porta d’ingresso è il crocicchio, la sua passione è il recupero delle membra spossate. Rinvigorendone il desiderio. E’ l’inizio e la fine di tutte le scritture, da quella Sacra a quella autobiografica. All’inizio sta sempre la vergogna per essere caduti: ci si nasconde «dalla presenza del Signore Dio» (Gen 3,8). Poi, riaccordato lo sguardo, si prende voce – «Vieni!» – per rallegrare l’udito: «Sì, vengo presto» (cfr Ap 22,16-21). La strada svuota: ci sono i pozzi!
Ospita parole di caparra la Scrittura: promettono, anticipano, segnalano. E’ notifica di eredità ricevuta: «Quello che erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo per possederlo» (W.J.Goethe). Questa eredità me l’hanno lasciata i miei padri, come promemoria di futuro, per il mio futuro: «Mio padre era un arameo errante (…) Il Signore ascoltò la nostra voce» (cfr Dt 26,5-10). L’eredità non basta riceverla: riguadagnarla è compito-per-casa di chi crede. Di chi crederà. A nessuno verrà concesso il lusso d’uscire fuori da quelle pagine senza aver prima acuito i sensi, armonizzato il cuore. Senza avere avvertito sulla pelle d’essere pure lui primo-attore della storia, di quella scritta con la maiuscola. La più paradossale.
Mi hanno sempre proposto di leggere queste pagine in ginocchio: per poi imparare a stare in piedi. Pare essere insulto al buon senso. Lo è: tutti i libri di storia sono scritti da chi vince. Questo è l’unico scritto da chi ha perduto. Parole di perdenti: non parole-perdenti, però. Gli architravi non sono di calcestruzzo, sono di materiale fragile: argilla, stuzzicadenti, membra fiacche. Da migliaia di anni chi la abita verte in stato d’assedio, per strada, a riparare le tende guastate dal maltempo. Pur assediati, si lasciano invadere da piccoli dettagli. Sul punto di mollare, non mollano: è sempre difficile scappare dall’Amore.
Le pagine sacre sono atterraggio d’emergenza, piazzola di sosta. Leggerle è leggersi. Sono giravolte di pensieri. E’ parcheggiarsi sul pistillo di un fiore, per poi librarsi in volo. Col nettare del fiore sulla punta della lingua.
In volo a liberare la bellezza dalle parentesi.

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