Sul palco della Milanesiana, a Parma, martedì scorso, alle 21.30, è andato in scena il carisma controverso, espresso da Michel Houellebecq (famoso scrittore contemporaneo francese, che ha sempre avuto la genialità della sintesi) nella lettura di alcuni brani di Baudelaire.
Di poche parole, sono rimaste impresse e hanno guadagnato fama quelle espresse a proposito della società al tempo della pandemia: «Tutto sarà come prima, solo un po’ peggio», commentava, infatti, nel maggio del 2020, analizzando la diffusione di un’«obsolescenza programmata» nelle relazioni umana, di cui è inutile negare la presenza.
Rispetto al rapporto tra Baudelaire e la Francia, alla constatazione che non ci sono celebrazioni in occasione del bicentenario del poeta, Houellebecq ha commentato «I rapporti tra Baudelaire e la Francia non sono mai stati facili». Trattamento differente ha, infatti, ricevuto Jean De La Fontaine, ampiamente celebrato nel suo quattrocentenario, forte, forse, di una classicità più spiccata e, quindi, ben accolta dagli accademici (e non) d’Oltralpe.
Per dilettarsi, sovente, le ciurme
Catturano degli albatri, marini grandi uccelli,
che seguono, indolenti compagni di viaggio,
il bastimento, che scivolando va su amari abissi.
E li hanno appena sulla tolda posti
che questi re dell’azzurro abbandonano,
inetti e vergognosi, ai loro fianchi
miseramente, come remi, inerti,
le candide e grandi ali. Com’è goffo
e imbelle questo alato viaggiatore!
Lui, poco fa sì bello, come è brutto
e comico! Qualcuno con la pipa
il becco qui gli stuzzica; là un altro
l’infermo che volava, zoppicando
mima.Come il principe delle nubi
è il poeta che, avvezzo alla tempesta,
si ride dell’arciere: ma esiliato
sulla terra, fra scherni,
le sue ali di gigante gli impediscono di camminare
Ricordo che fu questa la traduzione in cui lessi, per la prima volta, la poesia L’albatros. Non ricordo bene se fosse il periodo delle scuole elementari o delle medie inferiori (alle superiori, avendo frequentato il liceo linguistico, la lessi in lingua originale). Per me, Baudelaire, in un certo senso, è questa poesia. E questa poesia è il manifesto del poeta per antonomasia.
Difficile, infatti, trovare un componimento poetico che riesca, in modo più efficace ad esprimere la bellezza, l’ardimento, la sfida di vivere con un passo dalla norma. Può essere per un deficit di intelligenza, può essere per un eccesso di intelligenza o di sensibilità. È inutile girarci intorno, però: al di là di contorsionismo ed edulcorazioni linguistiche, al di là degli ipocriti buonismi, è innegabile che quando il tuo sguardo arriva oltre quello della media, la situazione diventa grama.
Il poeta, l’artista, il filosofo. Chiunque riesca a gettare lo sguardo oltre l’ostacolo e vedere sconfinati pascoli a perdita d’occhio, laddove gli altri vedono un muro invalicabile ed insormontabili, non avrà mai solo un dono. Spesso, insieme con esso, riceve la compagnia di una solitudine che, se non sorretta da fortezza, giustizia, prudenza e temperanza, rischia di essere disperante e che può – in effetti – spiegare la diffusione dell’uso di sostanze stupefacenti, nonché della disperazione, tra gli artisti di ogni tempo.
Non è solo ricerca dell’eccesso o volontà di permanere sotto i riflettori il più a lungo possibile.
Assaporare la vita in ogni suo frammento significa – inevitabilmente – toccare con mano anche il problema di trovare un senso al dolore, alla sofferenza, alla fatica. A tutte quelle cose che fanno a pugni con la nostra voglia di vivere, con la fantasia di creare mondi nuovi, con l’appetito insaziabile di relazioni significative ed autentiche.
«E oggi capisco il punto di vista del Cristo, il suo ripetuto irritarsi di fronte all’insensibilità dei cuori: hanno tutti i segni, e non ne tengono conto. È proprio necessario, per giunta, che dia la mia vita per quei miserabili? È proprio necessario essere così esplicito? Parrebbe di sì»
(Houellebecq, Serotonina, La nave di Teseo, 2019)
Così scriveva, due anni fa, rivelando una sensibilità spirituale, accompagnata da un cinico realismo di fronte all’apatia contemporanea di fronte al fatto religioso. Un pensatore libero, un amante della parola capace di elevarne il contenuto a profondità vertiginose. Capace di parlare all’uomo dell’uomo, senza sfiorare la banalità e la monotonia.
Forse, per questo, è considerato «un punto di riferimento per chi scommette sull’umano (e sul divino)», come commenta Alessandro Gnocchi su Il Giornale, indirizzando il nostro sguardo verso un approccio libero da precognizioni e, per questo, capace di vedere una trascendenza che, al di là dei dogmi, ci sappia condurre al centro di quelli che sono i desideri e le necessità dell’uomo di ogni tempo. Compreso questo strano e bizzarro battito d’ali di cui viviamo lo scorrere inesorabile e pertinace.
Fonte immagine: Galileone
Per approfondire:
Paroledautore
Repubblica.it
Ilsussidiario.net