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Fu il giorno del grande ritorno: l’amico, divenuto famoso in terre straniere, torna al suo paese natìo. Capitano d’una squadra d’assaltatori – ai quali è stata mutata la destinazione d’uso del mestiere: pescatori d’uomini e non più di pesci – torna a Nazareth con tutto l’armamentario al seguito: «Venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono». Praticamente successe che, dopo i trent’anni di vita privata, Cristo decise non solo d’abitare il mondo, ma anche d’attraversarlo. Dopo cinquanta e più secoli dai tempi di Adamo, Dio rispondeva a Dio: la prima volta pronunciò una parola di comandamento e la creazione prese forma e luce, in questa seconda appare umile, sottomesso, quasi fosse l’eco della prima: che decadenza dev’essere parsa ad uno sguardo secolare! Torna a casa, dunque: a mo’ di ringraziamento, di restituzione, d’appartenenza. Torna anche solamente perché lì, a Nazareth, ha speso trenta dei trentatrè anni che gli erano affidati. E, tornando, s’immagina i vicini di casa, gli amici dell’osteria, i clienti di bottega del padre, le amiche della fontana della Madre. S’immagina, forse, di vincere facile: “In fin dei conti, questa è tutta gente che m’ha visto nascere, crescere, alzarmi e andare a letto. Vestirmi, irrobustirmi, farmi forte nella mia umanità. Parliamo, tra noi, la stessa rude lingua della tenerezza. Uomini dall’accento nostrano” pensò Cristoddio avvicinandosi alla sinagoga del suo paese. Fu l’illusione del Cristo?
Ad aspettarlo, invece, quelli che Péguy catalogherebbe come «il vecchio plotone dei pensionati della giovinezza». Quelli che, ad un Dio lontanissimo, Gli presterebbero faccia, arnesi e fiducia: una storiaccia di precetti, comandamenti, accomodamenti, divieti da rispettare, appunti da seguire. Eterno (comodissimo) fidanzamento che non porta mai all’unione: “E’ facile andar d’accordo finché uno sta da una parte, l’altra dall’altra – dicono le donne-sagge a chi scambia l’amore con il farsi compagnia – Ma vivere assieme è tutta un’altra cosa”. Tutta un’altra cosa, esattamente, come a Nazareth: con un Dio lontano, inafferrabile, fuori dal quotidiano era anche facile andar d’accordo. Quando Dio si mostrò in Gesù – e fu l’ora di mettere su famiglia assieme – i primi a storcere il naso furono proprio quelli della messa prima, i paesani, quelli che Cristo l’avevano visto all’opera nei primi giorni della sua avvenuta: «Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone. E le sue sorelle, non stanno qui da noi?» (cfr. Mc 6,1-6) Se qualcuno l’avesse chiesto loro – “Scusate, di chi è in attesa il vostro cuore? -, avrebbero risposto con precisa coralità: “Dio è la nostra attesa”. Quand’apparve, esattamente quel Dio, non volevano crederci: “Pare strano, che dite? Ma non l’abbiamo visto correre, saltare, piallare e masticare proprio come i nostri figli? Non è possibile che abbia questa sapienza addosso!” La novità era a casa loro, l’avevano allevata, seguita, sperata: quando un giorno arriva, non ci credono a quella prossimità così vicina. «Camminano nei giardini della Grazia con una brutalità terrificante (…) Quasi che il loro unico proposito sia quello di sabotare i giardini eterni» (Ch. Péguy). Lo sperano: quand’arriva non credono.
“Fa niente!”, riflette Cristo tra sé, la sostanza comunque non muta: ormai il cristianesimo ha messo l’infinito dappertutto, anche nella mia Nazareth. Un vero cristiano, dunque, è l’uomo che avrà seccature a non finire. Avrebbe potuto dar loro delle dimostrazioni, ma non per quello era venuto al mondo: Lui, da quando esiste il mondo, è venuto per quelli che vogliono essere provati. Arrabbiarsi? No! Il massimo che Dio si concede è lo stupore per l’incredulità: “Ma come fanno a non credermi, è pazzesco!” La gente paesana ha fatto la cosa più umana: «Tolgono la chiave dalla porta; e la porta senza serratura e senza chiave resta solo una parete» (Péguy). Cristo, da sè, accelera: “Vedranno che il bel tempo arriverà”. D’altronde, per tutta la settimana santa, il tempo è stato pessimo. Nel frattempo, però: “Prego, si accomodi pure (fuori)” gli hanno detto i suoi paesani.

(da Il Sussidiario, 3 luglio 2021)

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando (Vangelo di Marco 6,1-6).

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