Cambio programma improvviso. Adesso che dopo la grande attraversata ha il potere in mano, il pieno potere nelle sue mani – «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» – Cristo mostra ai discepoli quant’è potente la sua potenza. Capita il contrario di ciò che capita tra umani: solitamente il potere non è solo quello che possiedi realmente, ma quello che i tuoi nemici pensano tu abbia. Con Cristo, invece, amici e nemici non hanno ancora misurato la vastità completa di quella forza. Forse ancora non ci credono nell’onnipotente potenza del Dio cristiano. Da parte sua, tuttavia, Iddio si racconta esercitando il potere: «Non si può conoscere veramente la natura e il carattere di un uomo – scriveva Sofocle – finché non lo si vede gestire il potere». Più potente dell’Onnipotente, l’umano non s’immagina: per questo, forse, per raccontarsi Iddio si delizia nel mostrare come gestire un potere così smisurato. I potenti di quaggiù li conosciamo bene, assai bene per non detestarne le modalità: sirene spiegate, la Polizia che crea cordoni di sicurezza, l’immunità della segnaletica stradale al loro passaggio, la burla di citare il popolo ogni tot anni, la cafonaggine di sentirsi padroni di tutto e di tutti. Questo è il potere degli umani. L’apparenza può anche cambiare, ma è solo un cambio d’abito: «Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con i nastri di seta, garbo intelligenza» (O. Fallaci). Che sia l’uno o l’altro, scegliete voi la modalità, chi arranca sulla salita fatica a trovare una mano che l’afferri. Più pietismo che pietà, dunque: “Oggi ha l’agenda tutta piena, vediamo domani se troverà un buco. Ci risentiamo! (La richiamo?) Non si preoccupi, richiamiamo noi”. Il telefono, nel frattempo resta muto. Avanti il prossimo!
La vita di Cristo, invece, è tutto un cambio programma: “Con lui non si può mai fare un programma!” lamenta il vicinato. Va di corsa, è di corsa, la salvezza è una corsa disperata contro il tempo, contro le intemperie della perdizione. Eppure Cristo conosce così bene i programmi da sapere che sono fissati apposta per venire disobbediti: «Venne uno dei capi della sinagoga il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi, lo supplicò con insistenza». Chissenefrega della reputazione, d’essere il leader della parrocchia, d’avere in mano una briciola di potere. La morte, quando arriva, non guarda in faccia nessuno: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Il Messia ha l’agenda fitta d’impegni, è tutto un appuntamento dopo l’altro, i discepoli grugniscono ai contrattempi dei quali son piene le giornate dell’Amico. Cristo, comunque, cede il passo alla vita: «Andò con lui». Non da solo, fate attenzione: «E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni». Dettaglio di poco conto? Affatto: tre su dodici dovranno vedere in diretta che cosa fare, in futuro, nei casi d’emergenza. Il daffare, è altrettanto sconvolgente del saper cambiare i programmi: mentre tutti lo deridono per sapere intravedere quello che nessun vuol vedere – «La bambina non è morta ma dorme» – Cristo tace, non vuol spiegare l’illogico, non si aggrappa a frasi fatte, non cerca di eludere il pianto. Si comporta da Dio: entra nel dramma, tocca la morte, Lui ch’è vita prende per mano quella vita per ridestarla. Gesti, non parole: nell’allarme ogni parola rischia di finire in inganno. «Prese la mano della bambina e le disse: “Fanciulla, io ti dico alzati!”» (Mc 5,21-43). Passo la parola ai tre discepoli: “Tutti a guardar le stelle cadenti – farfuglia Giacomo ai due amici – e pochi che le aiutino a rialzarsi”.
Rialzata che fu, Iddio resta libero lasciando libero l’uomo graziato: “Come farò a sdebitarmi con Te, Mioddio? Sarò in debito tutta la vita, Rabbi! M’hai fatto un dono gigantesco!” Il debito è presto saldato, è facile da saldare: «E disse di darle da mangiare!». Riaffidata esattamente a chi diceva ch’era tutto finito, con l’unico obbligo d’amarla assai: “Mi sono bastati due sguardi per tirar fuori il meglio di te” ha lasciato scritto una mano giovane sul lungotevere di Roma. “Se non sai prenderla per mano, non sfiorarla” ha reagito un’altra poco oltre. E’ un Vangelo in diretta: le mani che aiutano sono più sante delle labbra che pregano. (Amen)
(da Il Sussidiario, 26 giugno 2021)
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare (Marco 5, 21-24.35b-43).