maretempesta

Chiedete tutto alla Chiesa, chiedetele di tutto, ma non chiedetele di cambiare: la prospettiva, una strada, le traiettorie. È troppo grande il panico d’abbandonare il certo a scapito dell’incerto, di tradire la sicurezza della schiavitù per abbracciare il rischio della libertà. Cristo, quand’era quaggiù, gliel’avrà pur detto a quel pugno di pescatori che si sentivano tali solo navigando sulla stessa sponda, battendo i remi sulla piscina davanti casa: “Quando non ci sarò più io – m’immagino l’accento galileo del Rabbì – tenete a mente che il più grande spreco rimarrà la differenza tra ciò che siete e ciò che potreste diventare. Se solo vi fidaste!” Lo disse e, dicendolo, mostrò di conoscere a menadito quel guazzabuglio ch’è il cuore umano: se non cambiamo, non cresciamo. Se non cresciamo, poi, non stiamo vivendo per davvero! Avanti, dunque: «Passiamo all’altra riva» suggerì Cristo agli amici pescatori. È il suo modo per insegnare loro che la sufficienza di accontentarsi di ciò che si è conquistato li porterà da A verso B – come dimostrerà secoli dopo il fisico Albert Einstein -, mentre l’immaginazione li porterà dappertutto, ovunque. All’altra riva, per l’appunto: un modo nuovo, il modo di Cristo, d’immaginarsi l’uomo, la storia. La (sua) Chiesa.
Fare un passo nuovo, però, spingersi verso un’altra riva, cambiare l’indirizzo civico, pronunciare una parola diversa è ciò che la gente teme di più: perché, a conti fatti, abbandonare la comodità per il rischio, la sicurezza per la precarietà, il posto fisso per un lavoro artigiano? “E se capitasse ciò che siamo certi capiterà a chi abbandona la vecchia per la nuova?” avrà borbottato il capo ciurma Pietro a quell’invito per toccare la riva opposta. “Capitasse – si sarà sentito rinfacciare, alla sua maniera bonaria, da Cristo – ci sono pure io con voi, non siete soli!” Nemmeno il tempo di dirlo, eccoli i cavalloni alzarsi altissimi verso il Cielo: «Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena». La tempesta è l’avversaria numero uno della barca, l’allerta massima del pescatore: non per questo, però, si costruiranno barche per lasciarle nei moli, ad addormentarsi dentro un porto qualunque. I cavalloni s’alzano, la paura ringhia nei loro cuori, il cuore batte gagliardo addosso a Cristo. Che, raddoppio di tempesta, dorme: «Cristo se ne stava a poppa, sul cuscino, dormiva». “Che grande menefreghista è il vostro Dio, il Dio cristiano” bofonchiò il lurido Maiale di Lucifero a Pietro e alla sua cooperativa di soci. Dio-negligente, oppure Iddio d’altissima premura: la poppa, quando la nave è in fase d’affondamento, è la prima parte della barca ad inabissarsi. Cristo, dunque, il primo tra le vittime dell’eventuale naufragare della barchetta da pesca. La paura acceca, fa bestemmiare, rinfaccia a Cristo l’accusa di procurata morte: «Non t’importa che noi moriamo?» Glielo dice Pietro, prestanome degli altri cuori in allerta. In mare.
Lo chiamano, forse lo strattonano pure: Lui si desta. Si era addormentato per questo, forse? Ci sta: per vedere, nella tempesta, cos’avrebbero fatto, come avrebbero reagito, a quale divinità si sarebbero affidati. Si alza il Comandante e «il vento e il mare gli obbediscono». Gl’importa eccome se la barca affonda, se l’uomo annega nella morte. La premura, però, non gl’impedisce d’insegnare loro a navigare su mari agitati, ad attraversare cuori in tempesta, a carezzare l’onda improvvisa. “Vieni qui, Pietro – m’immagino la scena appena approdati a riva -. Il fatto è che tu vorresti che ti risparmiassi le tempeste, io invece ti voglio insegnare l’amore dentro le tempeste. Capisci, adesso, perché t’ho spinto dall’altra parte, quella che non era la tua parte? Che, t’avviso e t’anticipo: non sarà mai la tua parte”. Temo d’indovinare il volto di Pietro: per discendenza porto i medesimi lineamenti nelle fasi di burrasca: “Diommio, ma perché sempre e soltanto su mari agitati mi porti a navigare? Un po’ di tranquillità, mai?” E’ questo il Dio menefreghista, il guerrafondaio, quello geloso della felicità degli amici? Io e Pietro siamo perpetue vittime della disperazione urticante di Satàn, non vogliamo capacitarci del fatto serio dell’amore: “Vi porto là – ci bisbiglia Cristoddio – perché là in mezzo i vostri nemici non sanno nuotare”.
E noi, nelle tempeste, ancora convinti che Dio ci voglia morti.

(da Il Sussidiario19 giugno 2021)

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» (Marco 4,35-41).

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