E’ per antonomasia il mese delle proteste: nelle piazze delle grandi città, tra i banchi delle piccole scuole, davanti ai cancelli delle fabbriche e alle porte dei ministeri. Ottobre è il mese dell’autunno, quell’autunno caldo che tanti menzionano come emblema di insurrezioni che somigliano ad avvisaglie che, purtroppo, rimangono tali. Perchè nessuna protesta riesce a colpire il potere nascosto dietro. Sembra quell’uomo dipinto da Kafka che attraversando i corridoi e le stanze di un castello incontra impiegati e segretari dietro le scrivanie: ma nessuno di essi ha un vero potere. E’ la presenza del signore a riempire l’aria del castello: un signore che per quanti tentativi l’uomo faccia non riesce ad incontrarlo. La tattica ultima del potere è stata quella di nascondersi per rendersi inafferrabile e immune dalle critiche. La forma più alta e perfetta di efficienza che nessun lodo studiato a tavolino riuscirà più a pareggiare. Cosicché ogni forma di protesta si riduce a null’altro che ad un inutile tentativo di scalfire un qualcosa di fatto irraggiungibile, ad un gridare in mezzo al deserto: un po’ la lotta che don Chisciotte ingaggiava contro i suoi celebri mulini a vento.
Ma la protesta nasconde in sé un’illusione gigantesca: quella di esserci e di credersi liberi di protestare. Liberi addirittura di cambiare i personaggi al potere ma che altro non sono se non degli esecutori di un potere nascosto dietro le quinte della storia. Fosse vero il contrario con tutte le proteste, gli scioperi e le adunanze firmate in questo ultimo secolo la storia sarebbe stata rivoltata. Ad essere rivoltata, invece, attraverso una sottilissima opera di manipolazione – quella che Orwell definiva “vigliaccheria intellettuale” – è stata la lettura della storia dove per far tacere le rivoluzioni si definisce vittoria anche una colossale sconfitta. Pur di non ledere il volto del potere. Tanti levano gli scudi contro la manipolazione genetica, troppo pochi coloro che li spiegherebbero per contrastare la manipolazione intellettuale, da qualunque versante essa provenga. E questo non si fa certo con una semplice adunanza di piazza, dove chi grida è a sua volta attore di un copione già scritto.
Rimane il campo della coscienza l’unica zona per ribellarsi al potere e ideare qualche forma di protesta creativa. Accorgersi e fare esperienza che la nostra immaginazione – cioè la possibilità di immaginare e realizzare una società alternativa – è stata infiacchita da questo inavvicinabile personaggio fino a renderla sterile potrebbe essere per qualcuno già più di un motivo valido per tentare la rialzata. Ed è forse questa l’unica minaccia che il potere teme: svegliare l’immaginazione che lui si sforza di tenere accuratamente piegata in quattro con la tecnica della sovrabbondanza che spegne il desiderio. Ma oggi nuove esperienze di fede, l’esplosione dell’arte e dell’uso di droghe, l’avvicinamento alla magia sono nomi forse tra loro concorrenti ma uniti nel tentativo di creare una realtà nuova attraverso l’uso della mente. Non per nulla oggi l’artista e il poeta sono guardati con fare sospetto e minaccioso: il potere sa che loro sono in grado di far esplodere il cuore dell’uomo. Con il risultato – che varrebbe un nobel per l’assurdità – che chi detiene il potere ha perso l’immaginazione e chi tiene l’immaginazione è ostacolato al potere: qualunque nome esso tenga.
Rimane la lezione dei dinosauri, estinti non per troppa fragilità ma per troppa forza: la loro era una struttura biologica assurda. Son vissute le farfalle: esteticamente fragili ma equilibrate. Eppure nessuno che viveva al tempo dei dinosauri avrebbe mai immaginato una fine così ingloriosa.