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Cosa stavate facendo circa duecentocinquanta giorni fa, il 14 settembre, alle otto del mattino? La maggior parte di voi adesso correrà a frugare nei cassettini della memoria, ma troverà solo pochi ricordi sfocati, sparsi, simili a briciole. È normale, direte voi e dico anche io. Già a volte non ci ricordiamo cosa abbiamo mangiato a pranzo due giorni fa, figurarsi una mattina qualunque dello scorso anno. Forse a causa del mio lavoro, se c’è una giornata in tutto l’anno che mi rimane impressa nella memoria rispetto a tutte le altre, è proprio il primo giorno di un nuovo anno scolastico. In quel mattino alle porte dell’autunno il traguardo di giugno ci sembra lontanissimo, la strada da percorrere – seppur calcolata con tutta la buona volontà e competenza possibili – ci appare come un percorso ad ostacoli. C’è nell’aria un misto di trepidazione con contorno di buoni propositi. Poverini, questi ultimi, si ritroveranno ad essere ridimensionati giorno dopo giorno: un lavoro di cesello qui, una piccola demolizione lì, una sostituzione da un’altra parte ed il castello in aria che ci eravamo costruiti si riduce ad un monolocale, che però ha tutto l’occorrente.
Eppure, nonostante tutte le paure e le ansie, la strada di quest’anno scolastico travagliato è stata ormai percorsa quasi del tutto. Ho iniziato sentendomi travolta da una miriade di “non è concesso fare…”, inizialmente percepita come un’onda troppo alta da affrontare. Capita, a volte, di tenere gli occhi talmente tanto fissi sulla mèta che il percorso passa in secondo piano ed il timore di non farcela attanaglia come sabbie mobili. È necessario quindi ricordarsi che restare fermi a rimirare il traguardo non farà in modo di avvicinarlo come per magia, servono invece un passo dopo l’altro, mossi con costanza e perseveranza.
Mascherine, distanziamento, igienizzante, quarantene dribblate alla stregua di un centrocampista, lezioni attraverso uno schermo. Ma anche abbracci dati in punta di dita, sorrisi regalati con gli occhi, baci lanciati a più mani, disegni ricolmi di cuoricini stampati a tutto schermo, esilaranti lezioni improvvisate e piccoli momenti di crescita altrui osservati con la stessa meraviglia con cui si guarda un capolavoro. I bambini – e non solo loro – sono una valanga inarrestabile d’affetto: la miriade di (legittimi) paletti e di (comprensibili) restrizioni non ha spento nessun entusiasmo, ma anzi ha fatto nascere sempre nuovi modi perché quell’amore si rendesse manifesto, vivo e tangibile.
La nostra fragilità umana, come un nervo scoperto, ha avuto bisogno di mille attenzioni per essere preservata, curata, amata senza misura. Ed è proprio per questo che abbiamo pensato, inventato, messo in pratica altrettanti modi di comunicare amore, attenzione ed affetto. Ci siamo ricordati di non darci mai per scontati. Abbiamo infranto le dighe della procrastinazione affettiva: mai più rimandare a dopo un “ti voglio bene”, mai più lasciare in sospeso quel gesto di attenzione per qualcuno che amiamo, mai più rinviare a data da destinarsi la chiamata ad una persona lontana.
Se c’è una cosa che ho imparato, mai come quest’anno, è che l’amore può trovare sempre il modo di fare il proprio viaggio, se chi lo dona vuole davvero che esso arrivi a destinazione.

Credits immagine: Pixabay.

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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