Nei santi, si nasconde un segreto arcano, qualcosa che sempre sfugge a qualsiasi spiegazione razionale, che cerchi di incasellarli in qualche atteggiamento comune. Non a caso, i santi sono gente “fuori dal comune”! In loro, c’è una leggerezza che si alimenta ad una fonte d’amore inesauribile e nascosta.
Così era per te, san Filippo, santo della gioia! Mi piace definirti come un altro san Domenico: di giorno parlavi di Dio e di notte parlavi con Dio. Ti ci vedo, tra le strade della Città Eterna, «viso simpatico e cuore lieto», forte di quel sorriso spensierato non dato dalla superficialità ma dalla certezza che il bene vince sempre, ovunque, anche nelle periferie più grigie dell’anima. Certo, devo dirti sinceramente, caro Filippo, che per me è davvero imbarazzante parlare di te, figura tanto carismatica e affascinante, e mi chiedo come mai tu sia il mio speciale protettore, dato che sono stato battezzato proprio nel giorno della tua nascita al cielo!
Un caso? Non penso. I cristiani non credono nel caso.
Penso piuttosto ad un monito travolgente a seguire sempre la via del vangelo che ci rende autentici, quella via regia che rende vera ogni nostra parola e azione, che ci rende trasparenti alla luce dello spirito.
Eppure, mi sono sempre chiesto: «Dove si nasconde la forza di tanta gioia»? La risposta penso si possa trovare proprio nella Sacra Scrittura: «Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1Gv 4, 11-21). Il segreto è una vita votata all’amore, un amore che in noi diventa perfetto, non per merito nostro, ma per merito di Colui che, in noi, pone le fondamenta e la possibilità di una vita nuova e rende nuovo ogni atomo della nostra persona, ogni parola, ogni nostro gesto. La gioia viene sempre dall’amore, dal sapersi amati e dall’essere disposti a donare questo amore ricevuto.
La grande questione è che nell’amore è molto più difficile accogliere che donare, è molto più difficile lasciarsi amare piuttosto che amare, è molto più difficile “sentirsi dono” per qualcuno piuttosto che offrire qualcosa; ma, del resto, se non si sa accogliere un amore che ci può cambiare nel profondo, non si sarà nemmeno in grado di donarlo. Si può restituire solo ciò che prima si è saputo ricevere.
Forse, è proprio questo il segreto della tua gioia contagiosa, caro Filippo: aver capito che non sei un caso del destino, ma un figlio scelto per donare la tua vita al mondo. Prima di tutto, ti sei lasciato scegliere da quell’Amore che ti è sempre fedele e che non ti tradirebbe mai, nonostante le tue fatiche e, magari, i tuoi fallimenti. Le nostre aspettative, i nostri desideri più profondi devono fondarsi su questo Amore eterno, se vogliamo restare in piedi e non affondare nelle mille traversie del mondo, non annegare nei mille giudizi che gli altri possono avere su di noi. «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno», si dice nel libro di Geremia.
«La nostra preziosità, unicità e individualità non ci sono state date da coloro che incontriamo nell’arco del tempo – della nostra breve esistenza cronologica – ma da Colui che ci ha scelto con infinito amore, un amore che esiste da tutta l’eternità e che durerà per tutta l’eternità», ci ricorda Nouwen. Ecco che il segreto di una gioia che resiste al tempo e agli eventi dipende da chi decidiamo di farci scegliere. E tu, Filippo, ti sei lasciato scegliere dallo Spirito, che addirittura ti dilatò il cuore nella festa di Pentecoste dell’anno 1544, ponendo nel tuo petto quel dardo infuocato che mai più si spense. La tua attività principale era diventata l’amore, una vita attiva nella contemplazione del volto di Dio in ogni sua espressione di bellezza, in ogni anima che si avvinava a te per chiederti consiglio. La carità di Dio, riversato sui fratelli, divenne il motore propulsore della tua vita, tanto che, agli inizi del tuo apostolato, non ti bastò più una cameretta dove ricevere i penitenti ma dovesti ricorrere ad un vero e proprio locale, quello che poi sarebbe diventato l’Oratorio, fucina in cui si coniugavano perfettamente, come in un concerto sinfonico, spensieratezza e profondità.
Qualcuno si lamentò anche della “troppa allegrezza” dei tuoi giovani! Ma quella “allegrezza” non era certamente sintomo di superficialità: non faceva altro che dire la sovrabbondanza della grazia di Dio che, attraverso le tue parole, cambiava la vita di chi ti incontrava lungo il suo cammino.
Fonte immagine: Gigi Proietti, come s. Filippo Neri, nel film “Preferisco il Paradiso”, da Improntamagazine