succo limone

Chissà quante omelie degli scribi, magari tutte teologicamente ineccepibili, quell’indemoniato aveva sentito in vita sua prima d’allora. Perchè se quel giorno, un giorno qualunque, stava nella sinagoga, è probabile che ci andasse spesso: nessuno sapeva che quel giorno, lì dentro, sarebbe passato Cristo. D’altronde si può andare in chiesa per anni senza che la vita cambi di una virgola, è molto semplice: basta accettare che la fede resti un sapere – precetti, comandamenti, clergyman, manipoli, latino e giaculatorie – senza correre il rischio che diventi il sapore della vita. Un po’ quello che accade seduti a tavola: c’è chi mangia tanto per riempire la pancia, chi invece mangia assaporando le pietanze. M’immagino quell’indemoniato mentre, il sabato, entrava in sinagoga: “Se parlo rovino tutto e se non parlo mi rovino dentro” bisbigliava tra sé. La voglia di parlare, svuotarsi, ricostruirsi: per farlo, però, occorreva rovinare il dèmone, prenderne le distanze, dirgli di andare a quel paese. Satàn è sterco: puzza di cacca, odora di marcio, fa tanfo: però scalda. “Al calduccio non si sta poi così male” ti fa dire.
Poi, una mattina, entra Cristo. Sono trent’anni che si sta preparando: nella stamberga di Nazareth, giorno dopo giorno, è diventato uomo. Trent’anni a dare di fino alla pialla, a rimuginare la Parola, a diventare sempre meglio ciò che già era negli inizi: «Il Verbo di Dio si fece carne» (Gv 1,14). Il Figlio, facente funzione di figlio a Nazareth, diventò sempre più simile a ciò che sognava Dio-Padre: sempre più Parola. Perchè le parole, gli uomini lo sanno, sono la droga più esplosiva: non esiste nulla al mondo con più potere. A Nazareth, Cristo imparò soprattutto le parole da non pronunciare, perchè da che mondo è mondo, raccontano di più su un’epoca le parole che non si usano più che le parole che si abusano. “Vacci piano, figliolo mio – Gli avrà suggerito con discrezione sua madre Maria mentre filava la tela -. Vacci piano con le belle parole, perchè poi ti arriva il momento di dimostrarle”. Ci andò piano, Cristo: per trent’anni condusse una vita a basso profilo, muto come un pesce, obbediente come nessuno. Il giorno in cui parlò, però, fu una rovina per il mondo intero. Il primo a fiutarne la mattanza, fu Satàn in persona. Schifoso com’è – un lordume di prima categoria – mica andò lui a sfidare Iddio: si prese in affitto un corpo, si nascose dentro, gli chiese d’andare al massacro guidato da lui. Sapeva, quello sterco di arcangelo maledetto, che le parole di Cristo valevano doppio, triplo, avevano un surplus di valore. Lo sapeva, per questo mandò avanti un altro, promettendo ciò che non poteva mantenere.
Vigliacco, le truffe sono tutte in serie. Tutt’oggi, ancora oggi però ci cadiamo.
Il risultato: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!» Chiaro: Satàn, Cristo, lo riconosce al volo. Ha fiuto da vendere: come conosce lui Dio, nessun altro. E’ un fine teologo, l’ha studiato a meraviglia, ne conosce tutte le sfumature: siccome vuol combatterlo, non può permettersi d’essere ignorante. Sa bene che quell’uomo è la sua grande rovina, per questo gli dice «Sei venuto a rovinarci?» Perchè sa ch’è venuto quaggiù per rovinare lui. “Per rovinare tutti è spesso sufficiente non fare niente, figliolo” gli insegnò Giuseppe in bottega. Cristo imparò presto, fece tesoro: appena potè, mise in moto la macchina, accelerò. Non è un caso se, per l’evangelista Marco, il primo miracolo sia un ceffone al Ceffo: nella sinagoga tutti s’aspettavano si ripetesse che “Dio è amore, il tempo è vicino, vogliamoci bene” Vecchie parole di sacristia. Quel giorno, ch’è sempre oggi, la Parola invece mantenne fede: chi c’era percepì che quella Parola era viva, accesa. Una presenza. Nessuno prese sonno durante l’omelia: chi parlò non parlò a vanvera. Le parole molestarono Satàn, tappandogli la bocca: «Taci!» (cfr Mc 1,21-28). Così chiare che, incosciente, l’indemoniato disse la verità: che Dio è venuto per rovinare Satàn. Anche se lui dice che Dio è venuto per rovinare l’uomo. La macchina del fango è ancora accesa. Ovunque.

(da Il Sussidiario, 30 gennaio 2021)

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea (Marco 1,21-28)

copertina

In tutte le librerie, Ciò che vuoto non è (San Paolo, 2020), il nuovo libro di Marco Pozza
Il vuoto: «Mesi di vuoto dappertutto: dentro, fuori, in basso, qualcuno temeva pure lassù. Non è stato così: eppure “benvenuti alla resa finale!” hanno pensato in tanti». E se quel vuoto fosse stata una misura: “Quanto ti manco?” In una casa, l’unica stanza piena è quella vuota: è tutta colma del suo vuoto, di se stessa. E’ davvero necessario riempire ogni vuoto a tutti i costi?
In Ciò che vuoto non è l’autore ripercorre gli articoli del Credo cristiano alla luce del vuoto dei mesi di pandemia: «L’uomo ha diritto di voto, la bellezza ha diritto di vuoto per brillare» scrive. Che nome dare a quel vuoto? Per chi crede il vuoto è una mancanza piena di nostalgia, per chi non crede è pur sempre un’esperienza mistica: certe domande, comunque, hanno bisogno di vuoto attorno per respirare. Ripartiamo, dunque! Da quel sepolcro che le donne, a Gerusalemme, hanno trovato vuoto il mattino di Pasqua. E’ d’allora che quella cristiana è fede fondata sul vuoto, fede che ha diritto di vuoto.
Tra memorie paesane e sprazzi di attualità, l’autore si concede delle lezioni di lentezza per cercare una risposta alla domanda che ci interpella ovunque, soprattutto sul ciglio dell’afflizione: “Perchè credere quando attorno è buio”? Nell’emergenza il Vangelo resta uno spicchio di luna a forma di falce: la parte fulgente illumina quella oscura. Che vuota non è (dall’aletta di copertina).
(Per acquistarlo online clicca qui)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: