LorenaBianchetti

Le persone, ad un metro (e più) di distanza, come Chiesa spesso le abbiamo tenute ancora prima dell’avvento del Coronavirus. Solo che adesso abbiamo una scusa pronta: “Non possiamo avvicinarci! Distanti ma uniti!” si è raccomandato un alto prelato alcuni giorni fa. “Va bene il distanziamento sociale – mordiamoci tutti la lingua per non dire altro -, ma con questa scusa qualcuno si è proprio dileguato”. La distanza di sicurezza è il brand, comodo come un sofà di Poltrone&Sofà, che ci manterrà legati al 2019. Premetto, e non posso che sottoscrivere, che con la salute non si scherza affatto: ma siccome qualcuno le “distanze di sicurezza” le teneva già (abbondantemente) in anticipo sul virus, allora mi concedo il lusso di usarle a mò di metafora. Metafora di un 2021 in cui sogno (lasciatemi almeno sognare!), per davvero, una Chiesa senza più distanze di sicurezza. Se in autostrada mantenere la distanza di sicurezza può salvarti la vita, in materia di fede chiedere e imporre la distanza di sicurezza può avvilire l’anima. Può far soffrire Dio stesso: «Ciò che per una persona può essere una distanza di sicurezza – scrive Haruki Murakami -, per un’altra può essere un abisso». E’ vero: ci sono amori che sono nati per essere vissuti solo a distanza di sicurezza. Non è il caso della fede, la storia d’amore con il più alto grado di eccitazione della storia: «Dio piantò la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,18). Un Dio così vicino rimarrà la condanna eterna di chi lo vorrà lontano.
Sbugiarda la distanza di sicurezza! E’ per questo che la vicinanza, invece, è una dichiarazione d’amore luccicante. Quanto rompa, però, una vicinanza così prossima, ne è prova Papa Francesco, il Pietro senza alcuna distanza di sicurezza: “E’ facile essere coraggiosi a distanza di sicurezza” mi sembra possa rispondere a chi lo accusa (di nascosto) di essere troppo vicino alla gente, di non indossare le scarpe rosse, l’ermellino e  uscire portato sulla sedia gestatoria. Lo guardi mentre si muove, prega, agisce e ti stupisci di come renda semplice la cosa più difficile: l’esserci, a prescindere. E lo fa con la più semplice delle maniere, quella che salva la distanza senza dimenticarsi la vicinanza: una telefonata. E’ pochissimo il fare una telefonata: è di un’immensità indescrivibile se pensiamo che «non c’è suono più irritante di quello d’un telefono che non squilla» (R. Holmes). Quando il Venerdì Santo – il più strano/vero Venerdì della cristianità moderna – il Papa telefonò in diretta a Lorena Bianchetti, la bravissima conduttrice del programma di RaiUno A sua immagine – esordì da finisseur navigato: «Buonasera, Lorena!» Salvò il lei del saluto, proponendole il tu del nome: quasi a dire che il suo Dio, per davvero e non per sentito dire, si è avvicinato così tanto al suo popolo da andarlo a cercare laddove vive, si arrabatta, cerca ragioni per continuare a sperare. E’ un artista della vicinanza, il Papa argentino: quando ha il cuore urgente, come cantava Enzo Jannacci, scansa le segreterie, agisce all’insaputa dei dicasteri, non mette l’attesa in attesa. Ha l’urgenza di far scorrere il sangue di Dio nelle vene della storia, senza filtri: che altri non lo rendano prima omogeneizzato, che qualcuno non comunichi parole slavate, sbiadite. E’ furbissimo, anche quando fa di tutto per nasconderlo.
L’urgenza, poi, tante volte è quella di pronunciare un semplice grazie: «Ho pensato di chiamarvi per farvi personalmente i complimenti – ha detto alla redazione de La Gazzetta dello Sport all’indomani della storica uscita del 2 gennaio 2021 – Ottimo lavoro di squadra. Non meritavo tutto questo. Ma grazie, grazie davvero». Che, per chi ha un pizzico di intelligenza del cuore prima che della comunicazione, vuol dire: “In fondo, amici miei, il virus è la metafora del nostro essere chiesa, certe volte. Diciamo ad alta voce di amare la condivisione, ma sempre a distanza di sicurezza, però”. Invece che dirlo, a Francesco riesce meglio compiere un gesto-risposta: annulla la distanza, rendendo ancora più potente l’essenza di ciò che rappresenta quaggiù in terra: «E’ dai piccoli particolari che si capisce la grandezza di una persona» ha commentato Pier Bergonzi nel suo articolo sulla Gazzetta, giornale laico, poco avvezzo alla fede, dunque ancor più credibile in materia di stile ecclesiale. Sogno una Chiesa così nel 2021: che non si nasconda come uno struzzo dietro la distanza di sicurezza per dimenticarsi della vicinanza col popolo. Anche perchè – ci perdoni, eccellenza – la distanza e la vicinanza possono convivere bene assieme. In una semplice telefonata, per esempio. Per fare la quale non occorre nè mascherina nè guanti nè amuchina. Come insegna Francesco, vescovo di Roma. E, dunque, Papa.

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Problemi (probabili) di connessione internet
(*) Qualche vaticanista mi ha messo al corrente che l’organo ufficiale della comunicazione vaticana non ha dato nessuna notizia dell’intervista di ieri di Papa Francesco concessa a La Gazzetta dello Sport. A parte il fatto che l’intervista era all’inizio del bollettino della Segreteria di Stato riservato ai nunzi apostolici di tutto il mondo, per il resto ci saranno stati sicuramente dei problemi tecnici di connessione, oppure avranno fatto le loro accurate valutazioni in fatto di contenuti e stile. Oppure sarà successo dell’altro, magari dall’alto. Comunque alla gente semplice basta aver letto della telefonata di Papa Francesco fatta alla redazione del giornale milanese per togliere i dubbi. Qualora qualcuno – ma lo abbiamo già perdonato, accreditandogli misericordia – ne avesse avuti. O, variabile ampiamente calcolata anche questa, avesse rispolverato il già-noto vizietto della censura “ad-marcum-pozzam”. Quest’ultima impreziosisce il mio curriculum (dmp)

Leggi qui l’intervista completa a papa Francesco uscita su 
La Gazzetta dello Sport e SportWeek il 2 gennaio 2021.
(Versione inglese dell’intervista)

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