Soltanto l’uomo di cui si pronuncia il nome è vivo: fu per questo che, nella giungla infame dei campi di sterminio, strapparono ai deportati non soltanto le vesti, i capelli e i gioielli ma, soprattutto, il nome. Al posto suo – in qualche modo dovettero pure riconoscerli, per bruciarli – marchiarono col fuoco dei numeri che, d’allora in avanti, divennero la forma di riconoscimento al momento dell’appello. Primo Levi, il numero 174517 tatuato sull’avambraccio sinistro ad Auschwitz, scrisse: «Se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare in modo che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga». Le lettere del proprio nome hanno qualcosa di terribile e di magico: sentire che risuonano è avere la sensazione che il mondo sia composto di esse. «Marco» si chiama il mio mondo, e dentro questo nome-proprio-di-persona è nascosto il mondo intero: sarebbe immaginabile un mondo senza nomi? Il nome dice l’originalità, il cognome attesta l’appartenenza. A qualcuno, poi, si aggiungerà il soprannome: se non è infamante, dirà l’appartenenza ancor più genuina ad un casato, ad una dinastia, ad un albero genealogico secolare.
Non per nulla Luca, il pittore dell’infanzia di Gesù, aggiunge quel dettaglio, così piccolo d’apparire persino imbarazzante per la sua vastità: «Gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo». Il suo nome, dunque, esisteva da prima che venisse al mondo. Capitò ciò che capita quando due giovani s’innamorano, tantissimo tempo prima che si decidano a mettere su famiglia, molto prima della scoperta di lei d’essere incinta. Si è nei primi passi dell’amore, ch’è ancora aspro, bambino, fiammante: “Se avremo un bambino, un giorno lo chiameremo Giosuè. Se sarà una bambina le metteremo nome Benedetta” si dicono tra loro due cuori che, d’improvviso, hanno fatto colpo tra di loro. Perché dietro il nome c’è una storia, dei sogni, una memoria. Mettere un nome a casaccio sarà crocifiggere una persona, perché «nominare male le cose è partecipare all’infelicità del mondo» (A. Camus). Le cose, figuriamoci le persone. Cucire addosso un nome bello, invece, è dare a qualcuno la possibilità di sentire il suo cuore sussultare quando verrà pronunciato sul palcoscenico del mondo. Tutti abbiamo un nome, esattamente quel nome che ci manda in frantumi ogni volta che noi lo sentiamo pronunciare. Mi basta Marco! per accorgermi d’essere importante: perchè le parole hanno un significato ma i nomi hanno un potere. Il potere più potente che nessun potere al mondo potrà scucirci di dosso: «In una notte selvaggia chi potrà ricondurti a casa? – s’interroga la poetessa J. Winterson – Solo chi conosce il tuo nome». Solamente l’uomo di cui viene pronunciato da qualcuno il nome è vivo.
Giuseppe e Maria chiamarono Gesù quel pugnetto di carne che copriva lo spazio d’una mangiatoia ma dava l’impressione, di lì a poco, di occupare il mondo intero. “Manco il nome poterono scegliere quei due poveracci!” dirà qualcuno nel pensare che il nome era già stato scelto lassù. Dei poveracci-riconoscenti, però: guardandolo, pareva troppo anche a loro scegliere il nome più pesante di tutto il mondo intero. L’unico nome proprio che, nel tempo, diventerà il nome collettivo più largo che esista: Nel nome di Gesù. “Eppoi, Giuseppe – pare dire Maria allo sposo dal cuore infiammato, dagli occhi argentei – chi siamo noi per decidere il destino di Lui? Ricordi: è nostro figlio, ma è anche nostro padre. Siamo figli suoi e genitori suoi”. Giuseppe: “Che storia, amoremio: questo nome non sarà come un mantello che potranno strappargli di dosso senza fargli male, sarà una pelle che non si potrà graffiare senza fare del male a Lui, a noi. Al mondo intero”. Un giorno ero così triste da vedere tutto il mondo triste. Alla stazione, d’improvviso, sentii scandire il mio nome, senza il cognome addosso: Marco! Mi parve di vedere una rosa sbocciare nel binario 1. Perchè chiamare è (ri)dare la vita a chi chiami. Chiamare Gesù è leccarsi la lingua per l’acquolina. Pensare che pure Lui abbia l’acquolina in bocca pronunciando il mio di nome, è sentirsi dei piccoli Gesù-in-miniatura. Santo anno!
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo (Luca 2,16-21).