Natività1

Un grido si è levato nella notte: “La Straniera ha partorito!” L’hanno sentito patire mia Madre. Non se l’aspettavano, anche se molti dicevano d’attendermi, ma alla nascita di un bambino la terra non sarà mai pronta. Figurarsi alla (ri)nascita di Dio: è per rinascere, però, che siamo nati. Da parte mia, mi è bastato poco per smascherare anche stavolta l’uomo: spergiurava al mondo intero di desiderarmi come nessun’altra persona al mondo, ma nessuno era disposto a farmi un po’ di spazio accanto. Quella notte, in ogni notte, trovo che è sempre tutto pieno: «Non c’era posto per loro nell’albergo». Anche nelle chiese – tra latino, manipoli e tricorni – fatico per trovare posto: sembrano più interessati a guardarsi indietro piuttosto che a guardare in avanti. Eppure sono piccolino: basterebbe spostare un po’ l’asino, stringere i letti, levare la credenza e ci starei anch’io. Non occupo moltissimo spazio: la prima volta mi è bastata una greppia. O, forse, per loro sono già troppo ingombrante? È vero: occupo lo spazio di una culla ma nel mio sguardo c’è già scritto che un giorno riempirò di me il mondo intero. Hanno, forse, paura di un amore così grande? Pensavo che riempire-il-cuore sarebbe stato il regalo più bello possibile: invece scopro ch’è già tutto pieno il cuore dell’uomo. A me, invece, serve sempre un pò di vuoto per mettere il piede a terra. Serve un vuoto per riuscire a (ri)nascere. A Betlemme, in quella notte santa, non c’era posto. “E’ tutto prenotato” dissero ai miei genitori. Erano anche miei figli: capisco che era alquanto strana la storia di casa nostra. Riservarono loro lo sguardo di certe signore della messa prima: quel piglio non sarà mai il massimo dell’accoglienza.
Sono tornato con passi felpati anche quest’anno. I passi no, ma l’urlo della mia nascita è planetario: “Nasce sotto una cattiva stella – sento che scommettono su me -. Rido a crepapelle: nessuno nasce mai sotto una cattiva stella. Ci sono degli uomini, invece, che guardano male il cielo”. La terra, invece, noi l’abbiamo riguardata bene, assieme alla Trinità: “Figliolo, guarda quanto vuoto c’è quest’anno! Da quassù si vedono posti vuoti dappertutto: sembrano piste d’atterraggio in cerca di qualcuno che le abiti. Ci sono case piene di stanze vuote, mai come stavolta i cuori procurano un rumore strano: sordo, come d’un martello su cassa vuota, le piazze sono deserte. Anche quest’anno negli alberghi non c’è più posto, ma perchè sono tutti chiusi, non perchè siano tutti pieni. “E’ tutto vuoto” rispondono gli albergatori in preda al panico ai miei genitori. Stavolta vorrebbero invitarli dentro: “Piuttosto che rimanga vuoto, affittiamolo le stanze agli stranieri! Almeno rientriamo delle spese!” I miei, però, non cercano la compassione, mal sopportano la commiserazione: per me, ogni anno, hanno sempre cercato il vuoto migliore per farmi rinascere. “Perchè, Diommio, anche quest’anno mi (ri)mandi laggiù?” chiesi quando mi dissero di ripartire. “Sarà davvero la volta buona – mi rispose al volo Dioppadre – E se tutti quei vuoti fossero delle culle-a-disposizione per Te, Figliolo?” Mio Papà, in fatto d’ottimismo, è imbattibile. E’ una variabile contagiosa per chi Lo incontra.
La Straniera ha partorito, il carpentiere ha messo su famiglia: «Ci è stato donato un figlio» (Is 9,5) hanno fatto scrivere in un cartello d’appendere alla porta della bottega di mio padre Giuseppe. Quest’anno il Cielo promette bene: è giunta voce che, stavolta, vogliono farmi nascere addirittura qualche ora prima della mezzanotte! Che sia il segno che gli manco davvero, al punto da non riuscire più a stare senza di me? Non m’illudo, però sfrutto il tutto: mi basterà una fessura per fiatare, una crepa nel muro per scalarlo, mi basterà uno sguardo per metter-su-casa. È il mio destino quello di vivere balenando nella burrasca. Abbiate pietà, però, se anch’io ho le mie tradizioni da rispettare: non me la sento proprio, quest’anno, di abbandonare la mia stalla per nascere in un albergo. Proprio quest’anno, poi, che gli alberghi sono vuoti e le “stalle” piene: vorrebbe dire nascere da solo un’altra volta! Torno a rinascere nel vuoto di quella stalla. Quest’anno, forse, mi sentirete, vicino come mai prima d’oggi, anche se non me lo direte mai. Il fatto è che quando tutto è vuoto, ci si riesce ad abbracciare meglio. Quando si è da soli, in mezzo al vuoto, se Dio bussa hai la netta sensazione che bussi apposta per te. Al contratto di affitto che voi mi proponete, io vi propongo il mio contratto d’affetto: pensateci.
E’ ciò che voi chiamate Natale, ciò che vuoto non è.

Buon Natale!
don Marco Pozza

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Luca 2,1-14).


(Paul Gauguin, Te tamari no atua (Nascita di Cristo figlio di Dio), 1896, olio su tela, 96 x 128 cm. Monaco di Baviera, Neue Pinakothek)

Tutti gli editoriali d’Avvento
I^ Domenica d’Avvento, RipartiAmo, da Il Sussidiario, 28 novembre 2020
II^ Domenica d’Avvento, Pazzo scatenato, da Il Sussidiario, 5 dicembre 2020
III^ Domenica d’Avvento, Io (non) sono Dio, da Il Sussidiario, 12 dicembre 2020
IV^ Domenica d’Avvento, La Gesuina, da Il Sussidiario, 19 dicembre 2020

copertina

Dal 9 ottobre, in tutte le librerie, Ciò che vuoto non è (San Paolo, 2020), il nuovo libro di Marco Pozza
Il vuoto: «Mesi di vuoto dappertutto: dentro, fuori, in basso, qualcuno temeva pure lassù. Non è stato così: eppure “benvenuti alla resa finale!” hanno pensato in tanti». E se quel vuoto fosse stata una misura: “Quanto ti manco?” In una casa, l’unica stanza piena è quella vuota: è tutta colma del suo vuoto, di se stessa. E’ davvero necessario riempire ogni vuoto a tutti i costi?
In Ciò che vuoto non è l’autore ripercorre gli articoli del Credo cristiano alla luce del vuoto dei mesi di pandemia: «L’uomo ha diritto di voto, la bellezza ha diritto di vuoto per brillare» scrive. Che nome dare a quel vuoto? Per chi crede il vuoto è una mancanza piena di nostalgia, per chi non crede è pur sempre un’esperienza mistica: certe domande, comunque, hanno bisogno di vuoto attorno per respirare. Ripartiamo, dunque! Da quel sepolcro che le donne, a Gerusalemme, hanno trovato vuoto il mattino di Pasqua. E’ d’allora che quella cristiana è fede fondata sul vuoto, fede che ha diritto di vuoto.
Tra memorie paesane e sprazzi di attualità, l’autore si concede delle lezioni di lentezza per cercare una risposta alla domanda che ci interpella ovunque, soprattutto sul ciglio dell’afflizione: “Perchè credere quando attorno è buio”? Nell’emergenza il Vangelo resta uno spicchio di luna a forma di falce: la parte fulgente illumina quella oscura. Che vuota non è (dall’aletta di copertina).
(Per acquistarlo online clicca qui)

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