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Ci sono diciassette sedie attorno al feretro. Dentro questa bara è nascosto mio fratello, si chiama Caino: lo chiamo fratello non perché io mi senta Abele, ma perché, vivendoci assieme, ho scoperto che «siamo tutti fratelli – come scrisse Enzo Biagi -, ma è difficile scoprire chi è Caino e chi è Abele». Diciassette sedie vuote, diciassette sedie vuote con una gerbera poggiata sopra. Sulle sedie, poi, sono scritti diciassette nomi: sono sedute diciassette persone. Non è diciassette contro uno o uno contro diciassette: è la prima volta che,uniti  assieme, fanno diciotto. «Se potessi rivederle in volto, anche soltanto per un attimo…!» mi bisbigliasti una volta nel buio della galera. Eccole qui, Donato: all’ultimo, per un mistero insondabile della fede cristiana, ci è stata data la possibilità di ritrovarci tutti assieme. Vedi cos’è quella benedetta comunione dei defunti che cercavo di spiegarti quando me lo chiedevi? Eccola: tu, Caino, e i diciassette Abele ai quali hai strappato la vita. Quando immaginavo questa scena, non la pensavo così forte d’impatto. La guardo e penso che se tutti coloro che noi uccidiamo col pensiero scomparissero, la nostra terra diventerebbe il pianeta delle sedie vuote. Tu, per la storia di quaggiù, resterai Caino: “vita natural durante” ti hanno giurato alla fine del millennio scorso. Le tue vittime, invece, non hanno mai protestato contro di te: Abele fu il primo a scoprire che le vittime non possono nemmeno protestare. Tacciono, meditano, si mettono in fila. Aspettano l’ora esatta.
Al loro posto, però, grida la Scrittura Sacra: a mettere le mani addosso all’uomo si finirà per fare i conti direttamente con Dio. Quel Dio che, oggi, t’ha braccato e portato qui. Aveva una serie di domande da farti, fratello Caino. Sono domande che in vita tua, forse, hai sempre tentato di scansare. Più che una serie di domande, è la lenta ripetizione della medesima domanda, per diciassette lunghissime volte. «(Caino), dov’è Abele, tuo fratello?» Quante volte ti ho promesso questa lettura? Dì la verità!
Ascolta, Donato:

«Dov’è Giorgio Centanaro, tuo fratello?» (16 ottobre 1997)
«Dov’è Maurizio Parenti, tuo fratello?» (24 ottobre 1997)
«Dov’è Carla Scotto, tua sorella?» (24 ottobre 1997)
«Dov’è Bruno Solari, tuo fratello?» (27 ottobre 1997)
«Dov’è MariaLuigia Pitto, tua sorella?» (27 ottobre 1997)
«Dov’è Luciano Marro, tuo fratello?» (13 novembre 1997)
«Dov’è GianGiorgio Canu, tuo fratello?» (25 gennaio 1998)
«Dov’è Enzo Gorni, tuo fratello?» (20 marzo 1998)
«Dov’è Stela Truya, tua sorella?» (9 marzo 1998)
«Dov’è Ljudmyla Zubskova, tua sorella?» (18 marzo 1998)
«Dov’è Massimiliano Gualillo, tuo fratello?» (24 marzo 1998)
«Dov’è Candido Randò, tuo fratello?» (24 marzo 1998)
«Dov’è Tessy Adodo, tua sorella?» (29 marzo 1998)
«Dov’è Elisabetta Zoppetti, tua sorella?» (12 aprile 1998)
«Dov’è Kristina Valla, tua sorella?» (14 aprile 1998)
«Dov’è MariaAngela Rubino, tua sorella?» (18 aprile 1998)
«Dov’è Giuseppe Mileto, tuo fratello?» (20 aprile 1998)

Vorresti anche tu poter rispondere: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» come rispose il primo Caino della storia. Ti ho messo nelle condizioni di non poterlo fare: i  tuoi diciassette fratelli e sorelle sono tutti qui, sono giunti da lontano per sedersi accanto a te. Probabilmente hanno cose da dirti, domande da farti, dei pensieri da confidarti. Immagino inizino tutti con la solita domanda, che non è mai la solita quando te la pongono loro stessi: Perché? (proprio a me). Dio, tutte le loro grida martoriate, le ha registrate: «Hanno gridato a me dal suolo» ricorda a Caino. Ricordi lo strazio di Elisabetta mentre l’ammazzavi nel treno? Tu, soltanto tu, quelle grida saresti in grado di riascoltare dal vivo. Immagino siano diventate tortura per te, la peggior insonnia che possa seviziare l’uomo vivente.
«Manco la morte mi ha voluto, da quanto schifo faccio» mi dicesti il giorno in cui mi raccontasti del tuo tentato suicidio. Di un altro tentativo dicesti cose più distinte: «Manco il coraggio di suicidarmi ho. Pensa quanto vigliacco sono». Non penso tu fossi vigliacco: il fatto è che anche la morte va guadagnata. “Si muore come si vive”, dicono gli anziani. È come se dicessero che chi non è capace di vivere, non sarà capace neanche di morire. Forse è per questo che qualcuno uccide? Non saprei, tu non hai mai voluto spiegarmelo. Scavando dentro l’abisso oscuro della tua anima, il massimo che sono riuscito a capire è che spesso il delitto più banale è anche il più incomprensibile: non presenta aspetti particolari. Il massimo che noi potremmo fare è divertirci a giocare di deduzioni. Servono a noi, forse, per sopravvivere: per Dio sono bische clandestine. Materia sulla quale è vietatissimo scommettere.
Un giorno ti ho visto tutto fasciato, la faccia gonfia, le mandibole sformate: le botte, dentro la galera, sono botte-da-orbi. Non ti arrabbiavi, le calcolavi dopo un servizio alla televisione, all’indomani di un anniversario: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? Ramingo e fuggiasco sulla terra, chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere». Caino ha massacrato il fratello, Dio glielo ricorda bene: perduto il legame con se stesso, sarà ramingo e fuggiasco. Mentendo, ha perso anche il contatto con Dio. Caino non solo non è pentito del male compiuto – «Sono forse il guardiano di mio fratello?» – ma pensa anche di avere commesso un peccato di così grande portata che nemmeno la misericordia di Dio potrà più fare qualcosa. È orgogliosissimo! Disperazione per la salvezza chiama questo il Catechismo della Chiesa Cattolica. Più ancora: come l’invidia della Grazia altrui, disperare della salvezza è una delle bestemmie contro lo Spirito Santo. Caino è randagio come cane, senza più casa come un latitante. Come Donato, anche molto prima della matta mattanza: chissà se, da bambino, avrà mai sperimentato una carezza, un moto del cuore, un batticuore. Ne ho sempre dubitato, me l’ha confermato: Mai! D’allora Caino sta sulla bocca a tutti, è male-detto al punto da farlo diventare il Male assoluto. “Con quella merda di uomo (mi indicano la tua cella) possiamo fare quello che vogliamo” mi risposero quattro coinquilini di galera dopo averti battuto come un caco sull’albero. Invece no: anche per Caino c’è un Dio. Che, guarda caso, è lo stesso Dio di Abele: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!».
Caino ha paura, Donato in galera aveva paura: anche della libertà aveva il forte sospetto d’essere impaurito. Mio fratello Caino teme che la violenza gli si ritorca contro: poiché ha ucciso il fratello, s’aspetta d’essere ucciso. Dio, invece, infrange questa logica, proteggendo la sua vita: Nessuno tocchi Caino! Gli dona un segno, il segno più bello: gli parla, continua ad interessarsi di lui, continua a farlo sentire figlio nonostante lui si allontani da Dio. “Chi ha ucciso – sembra dire il Dio dei cristiani – non dev’essere ucciso a sua volta”. Lo so, amici, che arreca il fastidio più grande sentirselo dire. È Dio a dircelo, però: anche l’assassino dovrebbe avere un futuro. Anche Abele, dopo morto, avrà un futuro: le vittime della storia non devono essere dimenticate, non devono essere abbandonate. Hanno bisogno di successori. Da Adamo ed Eva, dunque, nascerà Set (che significa “piantina”), l’altro fratello di Caino: la storia di Abele non finisce con la sua morte. Anche mio fratello Caino/Donato ha partorito Set: «Non posso rimettere in vita quelli che ho ucciso, però posso aiutare a tenere accesa qualche vita sul lastrico» disse un giorno. Oggi, in Italia, ci sono due storie ancora vive grazie a Caino Bilancia: una famiglia intera al Sud-Italia, un bambino disabile al Nord. Nessuno ne sa nulla, mai saprà nulla: «Non voglio si sappia assolutamente» è stata la sua richiesta. Mio fratello Caino, amici, aveva un cuore che batteva come tutti i cuori di questo mondo. Ammetto: qualche volta molto più del mio. Non vi piace, vi pare troppo, fa schifo questa storia? E’ la Scrittura, è il Vangelo: nessuno obbliga a seguire Cristo. Se decidete di seguirlo, però, non costringete Lui a seguire voi. Non vale!
Era ossessionato da Dio, il mio Caino. «Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio» urlava l’Innominato del Manzoni ne I Promessi Sposi: «Voi me lo domandate? Voi? – lo interroga il cardinale Federigo – E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’imploriate?» Una fessura, Dio s’incunea: «Oh, certo! Ho qui qualche cosa che m’opprime, che mi rode! Ma Dio! Se c’è questo Dio, se è quello che dicono, cosa volete che faccia di me?» reagì. «Andrà all’Inferno Bilancia!» Liberi di pensarlo, però non costringetemi a firmare. Quel sabato (tardo-pomeriggio) Donato pensava fosse un sabato qualunque. Mi strattona, mi porta dentro in un’aula, s’inginocchia per terra: «Sono cinquant’anni che non mi confesso più. Adesso gli racconto tutto». Quel sabato, in quell’ora, per la liturgia iniziava la domenica della Divina Misericordia. Non lo sapeva lui, l’Altro sì. Tre ore è durata: una prima-serata che nessuna tv potrà mettere in onda. D’allora tornava spesso a trovare Lui. Rubo al colonnello Lionel Chassin, amico del mio grande amico Antoine de Saint-Exupéry, le ultime parole riservategli all’annuncio della sua morte: «Quest’uomo disperato era in realtà un ottimista e credeva, in fondo al suo cuore, nella vittoria finale dello Spirito. Io che l’ho conosciuto bene ho il diritto d’affermarlo: Saint-Exupéry era sulla rotta di Dio». Mio fratello Donato, nel fondo del cuore, sapeva d’essere già stato sconfitto dal Bene. Era sulla rotta di Dio.
«Abbi cura di te, non pensare solo agli altri: vedo quanto soffri, io e te la soluzione sappiamo qual’è. Fatti forza: io non ti giudicherò mai, tu non mi hai mai giudicato». Nessuno mi ha mai spogliato l’anima così: impossibile fregare chi, in vita sua, ha fallito. A te, fratello Caino, affido il mio cuore d’uomo tormentato, il mio sacerdozio tormentato: parlane a Dio, mettici una parola, fammi forza. E grazie per non avermi mai sbattuto la porta della tua cella in faccia.
Anche quando l’avrei meritato, per il solo pensiero d’essere un uomo migliore di te.
Fai buon viaggio, Caino.

* (omelia pronunciata da don Marco Pozza in occasione del funerale di Donato Bilancia)

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Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo grazie al Signore». Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo.
Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai».
Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà». Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a oriente di Eden (Gen 4,1-16).

 

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