Fuoco e fiamme. Attimi interminabili di paura. Notizie ed immagini che non arrivano, mentre i secondi scorrono, inesorabili. Memori di avvenimenti passati, sappiamo che potrebbe non essere un buon segno.
Chi come me è appassionato di Formula1, domenica scorsa, durante il Gran Premio del Bahrein, non sarà riuscito a rimanere impassibile davanti alla dinamica di un incidente di gara assolutamente inaudito, sotto molteplici punti di vista. Una monoposto che schizza fuori dal tracciato e poi un inferno di fuoco, fiamme e lamiere contorte. Molti, me compresa, non avrebbero scommesso mezzo centesimo sul lieto fine, che, invece, c’è stato: vedere Romain Grosjean spuntare tra le fiamme e saltare via, verso la salvezza, ha sfiorato il miracolo e ci ha regalato autentico sollievo. L’immediatezza dei social ha poi fatto il resto: lo stesso pilota ha condiviso ben presto notizie del suo stato di salute, sorridente, ma evidentemente provato.
Poi, una manciata di giorni dopo, l’abbraccio con i suoi soccorritori, con chi ha trovato il modo di tendergli le mani nonostante l’inferno di fiamme, con i suoi amici e la sua squadra. E le sue parole, di ringraziamento sì, ma anche una piccola lezione di vita: «Mi sono detto “Non posso morire, ci sono i miei figli, devo uscire di qui”.»
Romain Grosjean è, probabilmente, in questo momento, l’esempio più illustre. Ma non certo il primo, né l’ultimo. La nostra quotidianità è costellata da persone che, nel loro anonimato, immerse in una tragedia, trovano il modo di continuare a vivere. Non finiscono in prima pagina nei telegiornali, non fanno notizia, eppure riescono ad essere dei giganti nell’animo. Avvolte dal dolore, si aggrappano con tutte le loro forze all’amore che ancora possono dare e ricevere. Un genitore che, rimasto vedovo, trova nei figli nuova linfa per affrontare la vita, per esempio. Un’amicizia tradita e calpestata, ridotta ad un cumulo di macerie buone solo per spargerci il sale, che invece è stata trasformata in nuovo terreno edificabile da soccorritori amorevoli e dotati di stupefacente pazienza. I casi sono davvero vari e innumerevoli.
L’amore che ancora ci può essere donato, quello che ancora possiamo regalare, sono un’ancora di salvataggio forte tanto quanto quel meccanismo innato che si chiama istinto di sopravvivenza. Potrebbe sembrare retorica stucchevole, tuttavia proviamo a pensarci un po’. Quand’è stata l’ultima volta in cui la vita non ci ha risparmiato la sua parte più amara? Chi è intervenuto per dare ristoro? Oppure, verso chi abbiamo teso le mani per non venire sommersi e risalire la china? Quali sono stati i nomi che ci siamo ripetuti, tra un singhiozzo e l’altro, perché ci dessero le forze per riprendere il cammino?
L’esempio degli esempi nascerà, ancora una volta, tra non molti giorni. Ad attenderlo nel suo primo vagito sarà il legno di una mangiatoia. Per il suo ultimo respiro il legno di una croce.
Nel tuffo dal cielo alla terra e poi dall’alto di una croce saranno i nostri, di nomi, che egli si ripeterà a più non posso per poter dire, alla fine, che ne è valsa la pena amare senza misura.
Esagerato? No, altrimenti non si chiamerebbe Immanu-El: Dio-con-noi.
Fonte immagine: latestatamagazine