nerinaperoni

Dicono (ne dicono tante altre) che la vecchiaia sia la stagione del tramonto: eppure, se ci pensate bene, ci sono dei tramonti che tutti si fermano a guardare, anche se non sono l’alba. Anzi: sono l’esatto suo contrario, oppure la sua completezza. Mi sono innamorato perdutamente di lei all’improvviso, scivolando su un video di Youtube, e l’ho vista suonare il pianoforte a Canale 5, nel programma Tu si que vales: la sua pareva una danza dalle dita umane, l’avvenenza di quel gesto era lì che mi diceva che si può nascere vecchi come si può morire giovani, che la magia di invecchiare è uno di quei privilegi negati a molti. Che, domani, potrebbe essere negato a me. Nerina Peroni (già il suo nome mi era dolcissimo, è il nome di mia nonna) è un’anziana signora di 81 anni: abita in una casa di riposo piemontese, vicino a Cuneo (Chianoc di Savigliano), e un giorno decide di iscriversi a questo programma. La sua storia è materia da batticuore: la musica è stata la sua passione, suonare il pianoforte la sua magia. Poi, a causa di un malore, ha smesso. Quando, poi, ha cambiato casa, si è vista costretta a vendere il suo pianoforte per farci stare i mobili: è il pragmatismo delle donne concrete. Peccato (per fortuna) che, come canta Antonello Venditti, «certi amori non finiscono mai, fanno dei giri immensi e poi ritornano». Ritorna l’amore per il pianoforte mentre vive in una casa di riposo: uno di quei postacci – ci raccontano – dove il virus si mangia le ossa, infiacchisce le anime, fa baldoria sulle storie. Lei, invece, nella casa di riposo incontra una caposala che la (ri)conosce: guardandola avverte la musica in quello sguardo, intravede una pianista addormentata, sente i tasti che chiedono d’essere accarezzati. Torna a suonare, torna al vecchio amore: siede, come Cezanne davanti alla sua tela infinita, davanti a questi tasti bianco-neri. E suona.
La vita, in una casa di riposo, ha giorni che sono neri come la pece: ha dei giorni che sono bianchi come la pace. Il pianoforte ha tasti neri e tasti bianchi: qualunque sia il cammino della vita, anche i tasti neri servono per fare musica. Nerina lo sa così bene che si iscrive al programma di Canale 5. Davanti a lei ci sono giurati che hanno piena zeppa la memoria di gesta meravigliose, crudeli, d’arte finissima: Maria De Filippi, Teo Mammuccari, Rudy Zerbi, Gerry Scotti. Lei, dolcissima, si racconta in punta di piedi, fa a pugni con il palco ma ci sta come un’artista navigata, prende la vita ferita e ne celebra le cicatrici. Poi, quando tocca la tastiera, cala potente il silenzio: è il silenzio di quarantamila tifosi seduti negli spalti, quando un tocco di magia toglie loro il respiro d’improvviso. Estrae, dallo scaffale della sua memoria, la Marcia turca di Mozart e sembra fartela nascere al momento. Il pubblico è in delirio, la standing ovation viene spontanea, il 100% pare persino una misura taccagna. Vola dritta in finale, senza dimenticarsi di essere una nonna, dunque una (ma)donna che mette (sempre) prima gli altri di lei: «Mi sento quasi in imbarazzo – dice guardando quello studio che diventa uno stadio in delirio – sto togliendo la possibilità ad altri giovani più in gamba di me». Ieri sera, alla finalissima, pareva ancora più bella: da vedere, da ascoltare, da applaudire. Mentre stavo incollato davanti alla TV per tifare Nerina (è la prima volta che guardo questo programma), mi sembrava di rileggere quella suggestiva pagina dei Lev Tolstoj, quando parla della vecchiaia: «La vecchiaia è la più inattese tra tutte le cose che possono capitare ad un uomo». La più inattesa, dunque la più sincera: siccome ti coglie all’improvviso – un giorno ti svegli e scopri un cappello bianco, tutti i cappelli bianchi – allora è anche la più veritiera: ti mostra come hai vissuto la tua vita. Perchè la vecchiaia, contemplando i quadri viventi di certi anziani, io me l’immagino come una vita al rallentatore: è per questo che Nerina Peroni, questa dolce signora piemontese (che abbraccerei all’infinito!), ci vede assai meglio di me. Le sue rughe hanno fatto il resto: ho intravisto biblioteche di sogni ancora in corso. In Africa dicono che un vecchio che muore è una foresta che muore. “ Anche un pianoforte che non suona più” ho pensato guardando Nerina all’opera. Nel frattempo, suonando, ha fatto saltare tutti in piedi.
Alla faccia di chi pensa che una casa di riposo sia, per forza, l’anticamera del cimitero.

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