La risposta sovente dipende dalla domanda: a domanda mal posta, capita di falsare la risposta. Così è della premessa del Vangelo di questa domenica: «I farisei tennero consiglio per veder come cogliere in fallo Gesù». Non è curiosità la loro, è la più trasparente forma d’imbecillità: siccome non han niente da fare, allora si inventano tranelli per disturbare chi, invece, ha tante cose da fare. «Di tutti i miracoli di Gesù menzionati nei vangeli – scrive C. Stoica -, nemmeno uno si riferisce alla guarigione di uno stupido. Tanto è incurabile la stupidità». Il fatto è che, comunque, la domanda resta: “Siccome sappiamo che sei veritiero, dicci se è lecito o no indossare la mascherina”. Loro gli chiedono delle tasse,ma oggi gli chiederebbero della mascherina, tanto è legata alla Stato in questa stagione. Il Rabbì è scafato, ha fiuto da vendere, «conosce la loro malizia». Dunque non cade: “Chi vi ha detto di mettere la mascherina?” rilancia il loro tentativo di farlo cadere in tranello. “Lo stato”, cioè Cesare, gli rispondono: sta scritto nel DPCM ultimo che è stato emanato, pena una sanzione pecuniaria che ti obbliga a fare un mutuo per saldarla. La mascherina, la tassa, Cesare: così ragiona l’uomo.
Cristo, invece, svolazza da signore sopra le macerie del pensiero-pensato: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Usare i verbi giusti è mostrarsi all’altezza delle sfide: alla richiesta dei farisei di pagare o meno le tasse, Cristo risponde di rendere a Cesare ciò ch’è di Cesare. Rendere non è pagare, è restituire qualcosa dopo aver ricevuto qualcosa: è ridare dopo aver usato, è essere riconoscenti di un favore ricevuto. È dire grazie a Cesare di aver costruito una nuova superstrada, di aver fatto approvare la costruzione di un nuovo centro commerciale, di aver bloccato le speculazioni edilizie. Di ciò rendere grazie a Cesare è riconoscere che lo Stato sono io, che cittadini onesti è il primo passo per divenire buoni cristiani: «Abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune. Tale cura non interessa ai poteri economici che hanno bisogno di entrate veloci» (Papa Francesco, Fratelli tutti). O forse ne è la conseguenza. Che indossare la mascherina può aiutare, è una precauzione, è gesto pseudo-scientifico di cura nei confronti degli altri. Se non di cura, certamente di premura nel non portare loro a casa un virus. Dunque «rendete a Cesare quello che è di Cesare», indossatela la mascherina, rispettate le ordinanze. Però c’è il rovescio della medaglia, perché Cesare è Cesare ma non è Dio, anche se vorrebbe esserlo. Per questo Cristo rovescia, sotto gli occhi, la medaglia che i farisei guardano «(Rendete) a Dio quello che è di Dio» (cfr Mt 22,15-21). Le leggi sono materia e materiale di Cesare, ma l’uomo è proprietà privata ed esigente di Dio. Cesare, a volte, confonde l’avvertire con lo spaventare. Cristo, da parte sua, ricorda quella sottilissima differenza che c’è tra il possedere e l’appartenere: solo la seconda è reciproca, il possesso mette le manette ai polsi, l’appartenenza mette radici dentro l’anima. L’uomo, dunque, non si possiede: è materia d’appartenenza, a Cesare non è concesso di violarlo, umiliarlo, tanto meno di sognarsi di abusarlo. Anche se ci prova di continuo. L’uomo è di Dio.
La mascherina, come le tasse, se si confonde appartenenza e possesso rischia d’essere escamotage di chi vorrebbe firmare una confusione in materia. Dallo Stato si riceve (mettiamoci un condizionale di riserva), di uno Stato si è parte, lo Stato garantisce il rispetto della casa comune: aiuta a gestire la convivenza tra umani, in questo senso gli va restituito parte di ciò che si riceve in dotazione. L’anima, però, non è di Cesare, anche se Cesare talvolta dice di volere applicare i sogni di Dio: «Questo indica che il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace» (Fratelli tutti). “A ciascuno il suo” raccomanda oggi Cristo: giù le mani dall’uomo, però. Perché nell’uomo c’è un limite: oltrepassarlo è esclusività di Dio. Pena uno sfogo della sua gelosia.
(da Il Sussidiario, 17 ottobre 2020)
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Matteo 22,15-21).
Dal 9 ottobre, in tutte le librerie, Ciò che vuoto non è (San Paolo, 2020), il nuovo libro di Marco Pozza
Il vuoto: «Mesi di vuoto dappertutto: dentro, fuori, in basso, qualcuno temeva pure lassù. Non è stato così: eppure “benvenuti alla resa finale!” hanno pensato in tanti». E se quel vuoto fosse stata una misura: “Quanto ti manco?” In una casa, l’unica stanza piena è quella vuota: è tutta colma del suo vuoto, di se stessa. E’ davvero necessario riempire ogni vuoto a tutti i costi?
In Ciò che vuoto non è l’autore ripercorre gli articoli del Credo cristiano alla luce del vuoto dei mesi di pandemia: «L’uomo ha diritto di voto, la bellezza ha diritto di vuoto per brillare» scrive. Che nome dare a quel vuoto? Per chi crede il vuoto è una mancanza piena di nostalgia, per chi non crede è pur sempre un’esperienza mistica: certe domande, comunque, hanno bisogno di vuoto attorno per respirare. Ripartiamo, dunque! Da quel sepolcro che le donne, a Gerusalemme, hanno trovato vuoto il mattino di Pasqua. E’ d’allora che quella cristiana è fede fondata sul vuoto, fede che ha diritto di vuoto.
Tra memorie paesane e sprazzi di attualità, l’autore si concede delle lezioni di lentezza per cercare una risposta alla domanda che ci interpella ovunque, soprattutto sul ciglio dell’afflizione: “Perchè credere quando attorno è buio”? Nell’emergenza il Vangelo resta uno spicchio di luna a forma di falce: la parte fulgente illumina quella oscura. Che vuota non è (dall’aletta di copertina).
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