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A stomacare il Re, alla fine, non fu tanto il fatto che gli invitati alle nozze gli rifiutarono la loro presenza. Il suo cuore si rattristò per le bugie con le quali tentarono di giustificare quel rifiuto: chi un affare da concludere, chi un bue appena comprato da portare a spasso per la campagna, chi un impegno sopraggiunto poc’anzi. Capita sempre che i perdenti trovino delle scuse mentre i vincenti si inventino delle soluzioni. Fatto sta che alla festa indetta dal re gli invitati diedero buca. Qualcuno fece il bulletto facendo finta di non aver ricevuto l’invito, altri fecero spallucce, altri ancora «andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari». Altri, poi, infastiditi dalla gioia del re, usarono i pugni per rispondere all’affetto: «Presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero» è la diagnosi di quell’invito rifiutato. “Metti un bel vestito che ti porto fuori a cena” pare fosse stato scritto come annuncio. Gli invitati, però, non seppero abbinare il vestito alla felicità. Non s’accorsero, nel mentre rifiutavano, che «ciò che uno rifiuta in un minuto non glielo restituisce l’eternità» (F. Schiller). A tutti, ovviamente, capitano degli imprevisti: in ogni lista nozze c’è un margine che oscilla tra gli invitati che si vorrebbero partecipi e gli inviti accolti. E’ veramente libero colui che rifiuta un pranzo o una cena senza sentire il bisogno d’inventarsi una scusa: forse dovevano finire di farsi deludere da qualche aspettativa per poi entrare più tardi alla festa? O, al più, non trovarono in loro le forze per gioire della felicità del Re? Fatto sta che il sospetto serpeggia tra le righe: non è che, per gelosia, volessero boicottare una gioia che sentivano di non possedere? Non sarebbe la prima volta, nemmeno l’ultima. Oppure, gli invitati, erano gente senza più appetito: “Al povero manca il pane e al ricco l’appetito” diceva il nonno. La nonna: “Dio dà il cappone al ricco e al povero l’appetito”. Festa rovinata per mancanza di pubblico? Figuratevi!
L’appetito vien guardando più che mangiando: «La festa di nozze è pronta (…) Andate ora ai crocicchi delle strade, tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze». La festa, dunque, si farà lo stesso, a maggior ragione: il sabotaggio non è riuscito, il Re non accetta d’annullare il tutto per la mancata partecipazione del pubblico invitato. Alle aspettative disilluse, rilancia la quotazione delle sue più che valide ragioni: si sposa il figlio! Eccoli, dunque, gli invitati che popoleranno la sala: rachitici, strabici, mignotte e filibustieri, gente-rotta, miscredenti e farabutti. Vengono dai crocicchi come fossero paesi, popolano le notti a suon d’insonnie, odorano come chi non frequenta l’acqua da una vita. Eppure, a ben guardare, è grazie a loro che la festa si accende: spostano l’appuntamento, evitano d’andare a rubacchiare, posticipano un impegno. Si liberano perchè si sentono onorati di essere stati invitati direttamente dal re. Gli altri, quelli del gran torto, avevano più cibo che appetito: loro, invece, sono tutta gente che ha più appetito che cibo. Gli altri era gente che andava sempre a scuola, in chiesa: “Presente!” rispondevano in coro, con il grembiulino stirato. Loro, invece, erano sempre segnati con il rosso di un’assenza: “I grandi assenti” li soprannominavano a scuola, in chiesa. Sempre sul punto d’essere bocciati, crocifissi, bollati e derisi. Poi, una mattina, improvvisamente entra in chiesa il re, si siede, e invece di chiedere ai presenti la giustificazione per l’assenza domanda la motivazione della presenza. “Perchè si è sempre venuti, maestà! Perchè bisogna venirci, è festa di precetto. Ci è stato detto di farlo, altrimenti Dio si arrabbia”. Il posto è occupato, l’invitato è presente: tutto chiaro. Il cuore, però, è altrove.
Esserci è scegliere d’esserci: rifiutare è sempre una sicurezza, scegliere è una complessità. La prova del nove sarà quando il re si siederà per cenare: saprai che è la persona giusta per quella cena quando l’altro non avrà bisogno di controllare lo smartphone mentre starà seduto accanto a te. Chi non ha più appetito ha sempre tantissime cose da fare: come al tempo della scuola, però, le giustificazioni per le assenze sono quasi tutte bugie. Chi, invece, ha fame, si siede e ringrazia: la sua presenza è la forma di contestazione più bella verso chi ha la pancia piena. “Contestare” è un verbo sublime: con-te-stare. “Stare con te, maestà! L’appetito vien guardandoTi”. Buon appetito!

(da Il Sussidiario, 10 ottobre 2020)

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali» (Matteo 22,1-10).

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Dal 9 ottobre, in tutte le librerie, Ciò che vuoto non è (San Paolo, 2020), il nuovo libro di Marco Pozza
Il vuoto: «Mesi di vuoto dappertutto: dentro, fuori, in basso, qualcuno temeva pure lassù. Non è stato così: eppure “benvenuti alla resa finale!” hanno pensato in tanti». E se quel vuoto fosse stata una misura: “Quanto ti manco?” In una casa, l’unica stanza piena è quella vuota: è tutta colma del suo vuoto, di se stessa. E’ davvero necessario riempire ogni vuoto a tutti i costi?
In Ciò che vuoto non è l’autore ripercorre gli articoli del Credo cristiano alla luce del vuoto dei mesi di pandemia: «L’uomo ha diritto di voto, la bellezza ha diritto di vuoto per brillare» scrive. Che nome dare a quel vuoto? Per chi crede il vuoto è una mancanza piena di nostalgia, per chi non crede è pur sempre un’esperienza mistica: certe domande, comunque, hanno bisogno di vuoto attorno per respirare. Ripartiamo, dunque! Da quel sepolcro che le donne, a Gerusalemme, hanno trovato vuoto il mattino di Pasqua. E’ d’allora che quella cristiana è fede fondata sul vuoto, fede che ha diritto di vuoto.
Tra memorie paesane e sprazzi di attualità, l’autore si concede delle lezioni di lentezza per cercare una risposta alla domanda che ci interpella ovunque, soprattutto sul ciglio dell’afflizione: “Perchè credere quando attorno è buio”? Nell’emergenza il Vangelo resta uno spicchio di luna a forma di falce: la parte fulgente illumina quella oscura. Che vuota non è (dall’aletta di copertina).

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