La ragazza dentro la bottiglia. E sopra una scritta: “Non sei tu che abusi dell’alcol. E’ lui che abusa di te”. La bottiglia, spiega l’ideatore della campagna pubblicitaria, è in orizzontale: fosse in verticale sarebbe impossibile per la ragazza uscirne. Torna puntuale l’accoppiata alcol – giovani al tramonto di ogni estate quando le piazze ritrovano la giovinezza, gli schiamazzi, la frequentazione di gente giovane che torna a darsi appuntamento spritz alla mano e norme da snobbare, forse perchè sono solamente tali. Amministrare una città con le leggi è esigenza di ogni forma politica: sia essa rivolta al bene comune sia rivolta agli interessi dei privati. Ma davvero torneremo a quel clima di fastidiosa sopportazione che da troppo tempo rende chiacchierata la nostra città?
La piazza, inizialmente luogo di ritrovo e di scambio di idee e di prodotti, sta ultimamente diventando nell’immaginario collettivo un luogo di deturpazione, di sregolatezza e di maleducazione: luogo in cui tutto diventa lecito e la buona cortesia tanto proclamata dal galateo di un tempo sembra essere sconosciuta. Ammesso che ciò sia vero – e qui generalizzare sarebbe come ubriacare il cervello – rimane una domanda sottostante a tale atteggiamento: perchè tanta gioventù si da appuntamento nella piazza e sembra perdere il controllo di se stessa,delle buone maniere, del sorriso? In fin dei conti un aperitivo bevuto tra amici è una forma di liturgia aggregativa che nulla nuoce al vivere comune. Da troppo tempo, però, chi frequenta esistenze giovanissime s’accorge che la piazza è diventata un luogo “neutro” da varcare con in mano un copione già scritto e già sentito: la malinconia di una vita annoiata, la fastidiosa convivenza tra le mura domestiche, la solitudine di chi si sente abbandonato, la stanchezza di inseguire sogni ardui da firmare, la voglia di trasgredire, la semplice “serata diversa”, l’amarezza di qualche episodio da cercare di dimenticare, la voglia di mostrarsi grandi verso un mondo adulto che confina sempre all’adolescenza, la semplice insensatezza del vivere. La piazza diventa un grande contenitore in cui portare tutto quello che nella propria vita pesa con la speranza di tornarne alleggeriti. In tal modo, per tornare all’immagine della ragazza nella bottiglia, ci si costruisce una gabbia dove l’alcol è solo uno degli aiuti assieme alla stanchezza, alla sfiducia, alla tentazione di mollare la presa. Fortunatamente la bottiglia è in orizzontale: se ne può uscire e liberarsene.
L’esigenza e il sogno di una piazza vivibile penso alberghi nel cuore di tante persone. E nella campagna elettorale delle rimanenti. Ma forse occorre rimboccarsi le maniche e ripartire da tutto ciò che la piazza non è, o meglio che predispone alla vita della piazza: la scuola, la famiglia, i rapporti umani, il campetto dell’oratorio, la piazzetta del quartiere. E iniziare più che un’opera di educazione un’opera di edu-creazione: cioè di tentare di creare dentro le menti dei più piccoli un’immagine diversa del divertimento, dello sballo, dell’allegra convivenza. Per magari scoprire che dietro un aperitivo di troppo ci abita un’esistenza ferita che chiede silenziosamente aiuto prima di veder affisso il suo volto sulle pagine di qualche quotidiano. Lo dobbiamo ad una città che delle piazze fa nel mondo il suo splendido biglietto da visita e a tutti quei giovani che nelle piazze vedono nascere amori, progetti e serate da ricordare col sorriso sul volto. Tornare a battere sempre il tasto dell’abuso di alcolici è doveroso e per qualcuno una forma di promozione: ma a lungo andare potrebbe anche somigliare a quel vecchio signore che dal meccanico s’arrabbiava convinto perchè la macchina beveva troppa benzina. E non s’accorgeva che sotto il serbatoio c’era una fessura ch’era il doppio di quella per cui entrava la benzina.