L’inaugurazione di un tempio e l’offerta al tempio. Non c’è solo un tempio di mezzo e non c’è – neppure – solo il rapporto con il sacro.
Il tempio di cui si parla è il primo tempio costruito dal popolo ebraico, eretto intorno al I millennio a.C. dal re Salomone. Come evidenziato nel brano liturgico, l’ude fu del padre Davide, ma Dio si oppose, rivelandogli che quest’opera sarebbe stata ascritta al figlio, nato dall’unione del re d’Israele con la moglie sottratta, con l’inganno, ad Uria, l’Ittita. Un tempio grandioso, che tutti venivano a vedere, per la fama dovuta alla sua maestosità: gemme prezioso ed oro lo adornavano, la luce che visi posava lo faceva risplendere. Eppure il suo splendore ebbe una fine: fu distrutto da Nabucodonosor nel 586 a.C.
Quando, dunque, Gesù parla, ha di fronte un altro tempio, costruito successivamente, di cui tuttavia profetizzerà, nel Vangelo la distruzione (avvenuta nel 70 d.C. ). In questo tempio, pur bello e maestoso, tanti si soffermano a contemplarne la bellezza materiale della costruzione, mentre altri si lasciano affascinare dal tonfo di grandi ricchezze, largite dai più ricchi, per mettere in mostra la propria fede.
Lo sguardo di Cristo, però, è come se trapassasse tutte queste persone, ogni loro offerta, ogni loro gesto, azione, pensiero – quasi non avesse tempo da perdere, con loro – solo per andare a posarsi, con piena libertà ed amore, così da amplificarlo anche agli occhi dei discepoli, sull’agire di una povera vedova. Come un sapiente regista, la telecamera corre veloce sugli altri, fino a farli diventare uno sfondo sfocato ed evanescente, mentre in primo piano, a poco a poco, arriva lei, la povera vedova, la sua mano, il suo soldo che, cadendo nel tesoro del tempio, forse non riesce neppure a fare rumore. Come la famosa foresta che cresce, a confronto dell’albero che cade.
Forse, nessun altro se ne accorge. Ma Cristo sì. Conosce il retroscena, la storia, il pensiero o i pensieri, lo slancio di generosità, il significato che, per questa donna, riveste questo singolo soldo, per la sua vita. Per questo, sa che guardarla, anche se ci dà fastidio, ci è benefico.
Quella donna ci ricorda che donare molto è sempre poco, quando donare tutto è possibile, ancorché superi la logica (umana) il farlo. Donare-oltre-misura è segno della volontà di uniformarsi allo stile generoso di Dio, che sorprende l’uomo e non va solo incontro, bensì, oltre le sue aspettative. Come con la pesca miracolosa (Lc 5, 1-11); a uomini ormai defraudati del sonno e delle forze, dopo una notte di pesca infruttuosa, Cristo propone di andare al largo : a giorno fatto, sa tanto di scherno. Eppure, il Capo degli apostoli si ritrova a dover chiedere l’aiuto di una seconda barca, perché i pesci erano talmente tanti da rischiare di rompere le reti!
Tuttavia, ciò non accadde senza la collaborazione di Pietro, così come la Redenzione non ebbe inizio, senza il sì di Maria all’Incarnazione di Cristo.
Persino sul Calvario, Gesù chiese all’uomo collaborazione:
«Come il Signore, quel giorno scelse il buon ladrone come piccola ostia sacrificale, così ci sceglie, oggi come piccole ostie che si uniscano a lui, nella patena dell’altare. […] siamo presenti, ad ogni Messa, sotto el specie del pane e del vino. Non siamo spettatori passivi, come ad uno spettacolo teatrale, ma co-partecipiamo all’offerta della Messa, con Cristo» (J.F. Sheen)*.
Ogni domenica, sull’altare, un’ostia grande è benedetta e, spezzata, è intinta nel calice di acqua e vino. Poco distante, nella patena, oppure nella pisside, tante piccole ostie fanno ressa intorno, simbolo della nostra presenza, silenziosa ma preziosa: intorno all’altare come ai piedi del Calvario.
«Nei primi secoli della Chiesa, se ci fossimo recati al Santo Sacrificio, noi avremmo portato ogni mattina all’altare del pane e del vino. Il prete avrebbe usato un pezzo di quel pane non lievitato ed un po’ di quel vino, per il sacrificio della Messa. Il resto sarebbe stato messo da parte, benedetto e distribuito ai poveri. Oggi non portiamo pane e vino, ma il loro equivalente; portiamo ciò che serve per comprarli. Ecco il perché della colletta all’offertorio» (J. F. Sheen)*
Questo ci ricorda come, da sempre, la Comunione con Dio non possa sganciarsi dalla Comunione coi fratelli. Come ricorda san Giovanni, nella sua prima lettera («come possiamo amare Dio, che non vediamo, se non amiamo il fratello, che vediamo?»).
All’offertorio, durante la Messa, ancora adesso, all’altare è portato pane e vino: il Corpo e il sangue di Cristo, che ci ricordano la sua duplice natura (umana e divina). Ogni giorno, su ogni altare, Cristo ancora s’immola. Ma non vuole essere lasciato solo. Chiede a ciascuno di noi di parteciparvi.
Non importa quanto piccola possa essere la nostra offerta, Cristo la noterà e valorizzerà, se sarà totale e generosa, perché guarda oltre la superficialità e sa riconoscere un cuore con il desiderio di assomigliare all’amore di Dio.
Fonte immagine: Pinterest
Rif. Letture festive ambrosiane, nella X Domenica dopo Pentecoste (1Re 8,15-30;1Cor 3,10-17;Mc 12,41-44)
* le citazioni da J.F. Sheen, sono tutte tratte da “Calvary and the Mass” (trad. dall’inglese mia – il libro è attualmente indisponibile in commercio)