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Quante volte abbiamo sentito quell’espressione? «Abbiamo rallentato il motore del Paese, per consentire di affrontare l’emergenza». Questo si disse, al momento del famoso e ormai famigerato “lockdown” all’italiana (quello che qualcuno ci invidia e qualcun altro scansa molto volentieri, insomma, considerandolo liberticida, oltreché anticostituzionale).
Dall’oggi al domani, tutto è stato fermato, per consentire di focalizzare – giustamente – l’attenzione sulla lotta all’emergenza sanitaria in corso, dovuta alla veloce diffusione del Corona Virus, di provenienza cinese. Prima ancora delle scuole chiuse, in conseguenza dell’accertamento del «paziente 1» di Codogno come colpito da tale virus, i primi luoghi ad aver subito delle modifiche sono state proprio le chiese. Da sabato 22 febbraio, i sacerdoti, dal pulpito comunicarono che, a seguito di una comunicazione delle autorità, la Curia invitava ad evitare lo scambio della pace e a ricevere la Comunione unicamente sulle mani. Dalla domenica pomeriggio, sono state sospese le Messe con il popolo, ma, già dalla notte prima, al termine di uno spettacolo nel teatro dell’oratorio, il parroco ha avvisato che la replica, prevista per il giorno seguente, era stata annullata, così come l’oratorio, ogni giorno pullulante di ragazzi, di giochi, di partite, di vita, saremmo rimasto chiuso fino a nuovo ordine. Nonostante l’accortezza di dirlo solo alla conclusione della prima replica, per non rovinare l’ultimo momento di serenità (non sapendo quando ciò avrebbe potuto rinnovarsi), non posso dimenticare la rassegnata protesta di un ragazzino, che ha fatto notare, sconsolato: «Domani papà sarebbe venuto a vedermi…» (non aggiungo altro, perché sappiamo quanto momenti come questi possano essere densi di significato per i figli, in special modo quando i genitori sono separati).
Appena dopo, da lunedì 24, in Veneto e Lombardia, non hanno aperto ai loro utenti moltissimi servizi per la cittadinanza: scuole, ma anche centri diurni per disabili e centri aggregativi di vario tipo. Dopo circa 20 giorni e dopo una settimana di tentennamento dietro alla richiesta di istituire un’altra zona rossa nella bergamasca, a seguito dell’anomala concentrazione di contagi, il “lockdown” è diventato generale, esteso in tutt’Italia. Tutti a casa. Smart working per chi può. Ferie bruciate e cassintegrazione per chi non può (industria pesante, estrazione, cantieri e costruzioni, diversi settori chimici). Lavorano solo i comparti ritenuti essenziali.
È più di due mesi, dunque, che, senza quasi nessuno sgravio fiscale, con tanto amore, ma con altrettanta fatica, la famiglia, spina dorsale del Paese, vituperata e non riconosciuta, ha tenuto in piedi la baracca. E, inutile dirlo, molto spesso, la parte più impegnativa è spettata alle donne che, oltre a lavorare da casa, si sono dovute improvvisare insegnanti, per assicurarsi che i figli svolgessero i compiti, ma anche tecnici informatici (perché i nativi digitali millantano spesso conoscenze che sono superiori a quelle realmente da loro possedute), questo naturalmente, senza interrompere la pulizia e la cura della casa, ancora più importanti ed urgenti, con un numero maggiore di persone a casa per un tempo maggiore. Naturalmente, tanti mariti sono stati importante sostegno economico ma anche concreto, all’interno della famiglia, rendendosi conto della moltiplicazione del lavoro richiesto alla consorte. Tuttavia, molte famiglie hanno incontrato i più svariati disagi e difficoltà, in questo periodo. Basti pensare al fatto che non tutti avessero un computer con webcam a casa e riuscire a seguire le lezioni da remoto, quando i figli diventano superiori al numero di dispositivi posseduti, è diventato una sorta di terno al lotto, oltre ad un motivo di litigio in più (come se non ce ne fossero già a sufficienza, quando si condividono spazi stretti, con tante persone, anche se si tratta dei tuoi fratelli!). E questo, pensando, con semplicità, ad una famiglia “nella media”. Se analizziamo i casi particolari, si moltiplicano le possibili problematiche.
Partiamo dalla più banale (solo in appartenenza), perché non può mai essere sottovalutata. Facile parlare di lockdown da superattici, ville con piscina e campo da golf, terrazzo da 100 m2… un po’ meno, Al “siamo tutti sulla stessa barca”, qualcuno ha voluto replicare, infatti, sottolineando quella banalità che ci riporta al reale: «Siamo nella stessa tempesta: qualcuno con lo yacht, qualcun altro con il materassino. E non è lo stesso!». Per tante famiglie, sull’orlo della povertà, questo periodo ha significato una maggiore difficoltà, con conseguente minore varietà nella dieta, quando non insufficienza.
Gli adolescenti, poi, sono i “grandi dimenticati”: grandi abbastanza da non aver bisogno di ricevere assistenza continua, ci siamo illusi che possa dir loro di non uscire, per risolvere il problema. In un’età in cui l’emancipazione dal mondo infantile è fondamentale, non abbiamo pensato di dir loro nulla di diverso dai bambini più piccoli, dimenticando che ogni età ha esigenze che le sono proprie e, nell’adolescenza, la socializzazione coi pari età è ancora più importante che durante l’infanzia!
Le famiglie con disabili non hanno ricevuto l’aiuto di solito offerto dai centri diurni e tante patologie hanno avuto modo di progredire, perché a molti di essi è stata negata la possibilità della riabilitazione, di andare in piscina, di fare ginnastica correttiva. Pensiamo poi a cosa significhi per un bambino, ragazzo od adulto con disturbi afferenti allo spettro autistico non solo non uscire di casa, ma anche e soprattutto un cambiamento tanto profondo e repentino delle proprie abitudini. Poniamo l’attenzione su cosa significhi per i bambini ancora non in grado di verbalizzare assorbire l’ansia e la preoccupazione dei genitori e subire un inevitabile ritardo nello sviluppo, dovuto all’impossibilità di esplorare il mondo con i cinque sensi: per noi sono solo due mesi, per un bambino piccolo è il giorno d’oggi che si ripete per 60 volte e non può essere posticipato!
Una carrellata assolutamente esemplificativa che non s’illude di essere esaustiva, ma che vorrebbe solo far riflettere sul fatto che la realtà è oltremodo complessa e se il confinamento può aver consentito al Sistema Sanitario Nazionale quel minimo margine per limitare i danni derivanti da un’epidemia che ci ha colto alla sprovvista, non possiamo, ora, non considerare i danni che questa decisione sta provocando e potrebbe ulteriormente peggiorare. La situazione è senz’altro complessa, ma che lo sia non significa che, per nostra comodità, decidiamo di fingere che alcuni aspetti possano essere considerati trascurabili o sacrificabili. Si tratta di trovare quell’equilibrio che solo la Sapienza è in grado di far trovare.

Siamo ormai agli albori della ripartenza, ma alcune risposte mancano ancora all’appello.
Le associazioni di categoria però lamentano un’inspiegabile dimenticanza nei confronti proprio delle categorie più bisognose di attenzione. Bambini, disabili, famiglie. Si riaprono le attività lavorative, si ritorna al lavoro. Ma le scuole sono ancora chiuse, la parola baby sitter non compare, nelle 70 pagine del dpcm del 4 maggio, pubblicato ad inizio della settimana scorsa in Gazzetta Ufficiale e se – come affermato ripetutamente – gli anziani sono i più suscettibili al virus ed i bambini sono spesso asintomatici, rivolgersi ai nonni non parrebbe la soluzione più consigliabile. Si può solo sperare, quindi, o nella presenza sul territorio (ma non tutti i territori sono uguali!) di una rete solidale, o nella presenza di figli maggiorenni a cui affidare la cura dei più piccoli (ricordiamo, però, che la demografia, impietosa, ci dice che siamo a crescita zero e ci sono molti figli unici!) oppure, come sempre, ci si affida all’inventiva degli italiani e all’improvvisazione delle famiglie.
Gigi De Palo, dal suo punto di osservazione privilegiato, in qualità di Presidente del Forum delle Famiglie sottolinea, infatti «riceviamo ogni giorno feedback allarmanti. Il timore è che, se non arrivano risposte chiare entro le 130 ore [n.b. fonte risalente al 28 aprile u.s.] che restano all’avvio della fase due, la delusione sarà tanta. Le famiglie non chiedono elemosina, ma di essere messe nelle condizioni di vivere dignitosamente. La prima e più urgente risposta che chiediamo all’esecutivo è quella di soluzioni concrete e immediate affinché il 4 maggio le famiglie sappiano come conciliare serenamente il lavoro e l’attività di cura dei propri cari a casa».
Si riaccendono i motori, a quanto pare. Ma c’è da augurarsi che non ci si accorga troppo tardi che, al suo interno, complice il lungo stop, un gabbiano vi ha fatto il nido. Chiunque abbia vissuto, in qualsiasi modo, un simile inconveniente, si rende perfettamente conto che la situazione che si viene a creare non è mai né piacevole né simpatica. Un intoppo piuttosto sconveniente, che nessun pilota si augura di dover affrontare per la sua imprevedibilità e le conseguenze, potenzialmente rischiose, che potrebbe comportare. Ecco, quest’immagine credo ben sintetizzi la nostra situazione: i motori iniziano a girare, tutto è pronto per ripartire. Altrettanto importante quanto tutti gli altri controlli, tanto che ogni aeroporto ha la sua Bird Control Unit, però, è assicurarsi di non avere un gabbiano nel motore… non solo per il povero gabbiano, ma anche per tutti i passeggeri!
L’1 maggio abbiamo ricordato San Giuseppe Lavoratore, primo giorno di un intero mese dedicato alla Madonna. Chi, più di loro, conosce e comprende le vicissitudini e i problemi che possono vivere le famiglie, spesso per le scelte sbagliate altrui?
Un censimento affrontato con una donna in gravidanza, per ottemperare ad una legge imposta da uno Stato straniero e mal sopportata dalla comunità israelitica del tempo (al cui conteggio, in ogni caso, sfuggì il nascituro Gesù). La fuga in Egitto e l’adattamento a nuovi stili di vita, nuova geografia e nuova quotidianità, a seguito dell’invidia del tiranno Erode nei confronti del fanciullo Gesù. Il ritorno in Galilea e la crescita di una bambino – Dio, nel nascondimento di 30 anni e nel turbamento di una fuga, dodicenne, al tempio, durante un pellegrinaggio.

Santa Famiglia di Nazareth, proteggi le nostre famiglie e fa’ che sappiano, ancora, fare i salti-mortali per custodire i “piccoli”, prediletti da Dio, se necessario, anche senza l’aiuto delle istituzioni che, come spesso accade, latitano.

 


Fonte immagine: Static.nexilia.it

 

Fonti:
Vita.it : bambini, famiglie e disabilità i grandi invisibili
Vita.it: 130 ore alla fase 2, le famiglie senza risposte

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