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– Sul perché, per alcuni, la donna vale meno. Righe per sorridere, ma non troppo, partendo dalle mie tre figlie –

 

Agli albori dell’umanità, quando gli uomini sapevano a malapena parlare, iniziarono a riflettere sul senso dell’esistenza e su chi avesse potuto creare tutto ciò che li circondava. Iniziarono a disegnare sulle pareti delle caverne… i primi graffittari. Poi presero dell’argilla, alcuni una pietra, e vi modellarono forme umane, forme di donna. Veneri grasse e floride, coi fianchi larghi e il seno enorme, pronto ad allattare il mondo intero. La dea madre.
Per questi antenati non esisteva il creatore, ma la creatrice. Non “dio”, ma “dea”. A partorire il mondo non era stato un maschio, ma una femmina. D’altra parte era quello che vedevano: a generare la vita non era l’uomo, ma la donna. E così doveva essere anche il generatore cosmico. Proprio l’alta considerazione nei suoi confronti pare abbia favorito, almeno inizialmente, società matriarcali.
E, tuttavia, il trend non doveva durare molto. Nei millenni a seguire qualcosa s’incrinò, fino a spezzarsi. L’indole violenta del maschio, la sua superiorità fisica, ha, alla fine, estinto quella prima forma femminile di civiltà, sopraffacendola con la forza.
Nessuno può dire davvero come sarebbero potute andare le cose, come si sarebbe dipanata la storia, se a reggere i governi delle nazioni fossero state le donne. Addio a questa visione del femminile, quindi! Addio (esasperando la questione) a dio come femmina ed ecco imporsi il barbuto, anziano, maschio, creatore!

Di fatto, da quel momento, la donna ha dovuto intraprendere un’impresa di riconquista, inseguendo la parità con l’uomo, e, solo oggi, pare, sottolineiamo pare, si sta raggiungendo una certa uguaglianza.
Ma questa parità di diritti, tuttavia, si presenta ardita fin dal principio, fin da quando la piccola donna è germogliata nel grembo della madre, quando questo piccolo fiore non sa ancora di essere al mondo. Quando non ne ha ancora vista la luce, c’è già chi si oppone contro questa femminilità. È femmina! – dico, – e qualcuno traballa.
Io ho tre figlie, tre calle sbocciate dal ventre di mia moglie, e, ad ogni gravidanza, numerose voci si sono alzate invocando un nascituro maschio, perché quello è l’augurio, ancor prima di pensare a un figlio: – Auguri! E figli maschi! – non si dice così ai novelli sposi?
Soprattutto chi è anziano, soprattutto donne anziane, paradossale verità!, sono rimaste sconcertate a miei lieti annunci.

Eora, cossa dzeo?
Non so uncora nona.
Beh, beh, queo che el Signore manda.

Quando però scopro che il figlio è una lei, la prima delle tre, ecco che la versione inizia a cambiare e l’anziana signora non è più così convinta del suo quel che el Signore manda.

Eora, cossa dzeo?
Femmina, nona! Dzé na putea!

Millisecondo per assorbire il colpo. Ristabilizzazione del battito e del respiro dopo l’accelerata improvvisa. Lieve smorfia che si delinea sul volto e mal camuffata sotto un finto sorriso poco riuscito. Poi l’oracolo: Queo che el Signore manda!
Baci, abbracci, saluti e che il prossimo sia maschio.

Rivelando la buona novella a un caro amico, invece: – Che palle! Una femmina! Giocare con le barbie e robe simili! Puah!
Oppure altri, tutti profeti, chiaroveggenti, indovini, psicologi del profondo: – Ma tu volevi il maschio?
Io, sinceramente, volevo un figlio e basta. Mi piace poi quel volevi… ma volevo che? Non solo l’avere un figlio non dipende dalla mia volontà, figuriamoci la possibilità di sceglierne il genere. So che la tecnica oggi propone anche queste opportunità, ma non fanno al caso mio. Deliri dell’homo technologicus.

Seconda gravidanza.
– Speriamo sia maschio questa volta.
Sì, davvero, perché già con due in casa non ce la faccio più, una terza!? Abominio delle genti! Sarebbe un fallimento totale!
Vorresti il maschio questa volta, vero? Per fare la coppia intendo…Certo, sì, che stupido, non ci avevo pensato, devo fare la coppia o una coppa, adesso vedo…E ridajè con la storia che io vorrei/voglio un maschio. Ma perché? Io non voglio niente, io voglio quello che vuole Dio e basta.

Eora, cossa dzeo?
No savemo uncora, nona.
Beh, beh, queo che el Signore manda!
Giusto!

Reazioni alla constatazione che anche il secondo figlio in realtà è una donna.

Dzé na putea nona!
Lieve mancamento della gamba destra, sospiro eccessivo (riesco a sentirlo), sguardo lievemente perso nel vuoto.
Beh, beh, caro, queo che el Signore manda!
Ovviamente, non potrebbe essere altrimenti. L’apoteosi però la raggiungo con la terza figlia. Qui gli sbuffi, i lamenti, i silenzi di alcuni, durati addirittura qualche giorno, le braccia aperte, non si contano più. Per non parlare di qualche familiare molto stretto, ma qui innominabile, che non voleva crederci e pensava fosse uno scherzo. Per una collega è un fatto gravissimo, perché le femmine rispondono indietro, i maschi no. Così ha detto.
È una disgrazia, punto! E io sono un disgraziato, non perché ho generato tre figlie, ma perché dovrò sorbirmele per il resto della vita.

Eora, cossa dzeo?
Uncora non se sa, nona.
Beh, beh, caro, queo che el Signore voe, ma speremo che stavolta el manda un puteo.
Vedaremo, vedaremo.

Sembra un maschio, sembra…

Eora?
Pare maschio, nona! Pare maschio! Ma bisogna spetare a prossima ecografia pa’ essere sicuri.
L’importante dzé che el staga ben, che sia san!
Sì, sì, tuto ben.
Bon, bon.

Arriva il ribaltone: è una femmina. La terza.

Nona!
Dime caro? Cossa dzeo?
Dzé n’altra putea!

Minuto di silenzio, busto che piega leggermente all’indietro. Né smorfie, né sorrisi, solo una frase, chiara, schietta, sincera, più vera che mai: – N’importa, ghe voemo ben i’stesso!
Alé! Faremo questa fatica, vorremo bene anche a questa creatura che ha avuto la sfiga di nascere femmina.

Ora, per carità, non voglio dire che fosse per tutti una tragedia, che tutti mi abbiano augurato il maschio, eppure, non posso negare che la percezione, parlando e annunciando a molti, era quella che se fosse stato maschio, sarebbe stato meglio. Proviamo però a vedere perché.
Partiamo dai giovani. Quelli a cui annunciavo che mio figlio era in tutta verità una femmina, se ne lamentavano per svariati motivi: il maschio è maschio; la femmina ti porta in casa un altro maschio; la femmina resta incinta; con le femmine non puoi fare i giochi che tu facevi da piccolo; la femmina si lamenta spesso; la femmina ha il ciclo, e tu già hai tua moglie, figurati quando l’avranno tutte e quattro; le avrai sempre contro; dovrai sottostare alle loro scelte.
Ecco, queste affermazioni, volutamente scherzose ed esagerate, si smorzano quasi da sé. Quasi.
Quello che più colpisce è invece vedere come la notizia sconvolga il sesso femminile… diciamo “datato”. Sono cioè le stesse donne ad essere dispiaciute che il pargolo sia femmina.
Credo debbano esserci almeno due spiegazioni.
Una ha a che vedere con l’eredità, non nel senso patrimoniale, ma nel senso che il maschio è l’erede, colui che tramanda. La femmina invece non tramanda neppure il cognome, non lo può affidare ai figli, proprio lei che li ha generati, a meno che non si voglia affibbiare alla poveretta appena nata una sfilza di cognomi, in stile sudamericano, brasiliano, tipo: Maria Silva Santos Oliveira Souza Pereira Carvalho Almeida Ribeiro Rodrigues.
Se invece possiede anche un’eredità, la farà diventare eredità del maschio con cui andrà ad unirsi e, propriamente, non sarà più la “sua” eredità, ma quella sua e del marito. Il maschio pertanto è il propagatore nei secoli, colui che regge una dinastia. La femmina invece non genera la sua dinastia, genera quella del maschio.
Per assurdo, pare una faccenda legata ai cognomi, parole da perpetrare nelle epoche.
La seconda motivazione a questa smorfia femminile verso il femminile, quella che mi pare più fondata, è probabilmente un gesto spontaneo di solidarietà, un modo di dire: Poveraccia! Anche tu, cara mia, dovrai patire soprusi! Essere sempre per seconda!
Lamentando la femminilità non lamentano il fatto che il bambino non sia un maschio, ma che sia invece una della loro specie, del loro genere. Un genere troppo spesso violentato e saccheggiato dal maschio.
Quelle donne, quelle anziane, che debbono averne passate tante con i loro uomini, si dispiacciono così per la piccina, perché credono, sanno!, che la loro vita sarà generalmente più dura e difficile di quella del sesso opposto.

Sarà una questione sempre annosa, quella della parità dei diritti, dell’uguaglianza, perché il mondo è competitivo: homo homini lupus, questa la lezione di Hobbes. Parimenti non insegnava così anche Darwin? La legge del più forte non era anche questo?

Le donne invece, contrariamente agli uomini, davvero dei bruti, non hanno l’istinto violento. Il loro dono, la loro vera forza, mai riconosciuta, è la non-violenza, una docilità sempre interpretata e imposta come sottomissione al maschio. Quello che non si è ancora davvero capito, è che ciò che nella donna appare debolezza, a volte rassegnazione, non è vera debolezza, ma un aver compreso in cuor proprio come dovrebbe essere il mondo. In realtà la donna dimostra di essere più forte nella sua debolezza, che consiste essenzialmente nella non-violenza. La donna ha capito, a differenza dell’uomo, che non occorre essere violenti per far girare le cose.
I tempi, ahimè, non sono tuttavia ancora maturi per questo cambiamento rivoluzionario. E se proprio vogliamo dire che anche le donne si pizzicano, sanno essere di un’acidità sorprendente, litigano, sparlano in continuazione, non si rivolgono più la parola per una sciocchezza, dobbiamo però ammettere che se fossero loro a gestire le cose, troppo spesso in mano esclusiva del maschio, il mondo godrebbe certamente di una pace maggiore.
Così, mentre l’Italia indossa la maglia nera della violenza contro le donne, io ringrazio Dio di avermi donato tre meraviglie. E mi viene in mente il Canova, le sue “Tre grazie”, quelle di Possagno. Tre grazie che nel mio caso sono un vero ringraziamento per queste luci divine. Tre volte grazie al creatore, quindi.

Le vedo, le immagino nella mente, le accosto alle figlie… cosa farò? Cosa farò con questa bellezza affidatami tra le mani? La difenderò, perché solo salvando la bellezza, la nostra bellezza, possiamo veramente auspicare che si realizzi la mirabile profezia di Dostoevskij, cioè che la bellezza salverà il mondo. Ma l’uomo, il maschio, è ancora troppo barbaro, ed è forse per questo lo sbuffare delle nonne, non di scoraggiamento, ma di saggezza, quella che non solo i vecchi, ma pure le vecchie possiedono.
Intanto, come direbbe una di loro, ghe voemo ben i’stesso e poi le difenderemo, lotteremo assieme per innalzarle sul podio insieme all’uomo, ne elogeremo la bellezza, senza più usurparla, e impareremo l’arte della non-violenza, via privilegiata per incarnare, una volta per tutte, l’amore.

 


Fonte immagine: Firstonline

Alberto Trevellin (Padova 1988), laureato in scienze religiose prima a Padova, poi a Venezia, è insegnante di religione. Sostiene che i bambini salveranno il mondo e che senza di essi non potrebbe vivere. La mattina, quando si sveglia, guarda verso il monte Grappa, per il quale ha un amore smisurato. Ama camminare tra le alte cime delle Dolomiti, correre in mezzo ai boschi, andare per sentieri sconosciuti. È sposato con una donna che crede affidatagli da Dio e ha due bambine bellissime quanto vispe.

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