Sono due i giorni che segnano la nostra esistenza, segnalando la nostra presenza nel mondo: il giorno nel quale siamo nati e che chiamiamo compleanno (“Auguri di buon compleanno!”); il giorno nel quale capiamo il perchè siamo nati. Nascere è facile, ma non basta: è per (ri)nascere di continuo che siamo venuti al mondo. Per riuscirci, però, è necessario scoprire il motivo per il quale siamo nati: «Qualcuno mi ha pensato, voluto, fatto nascere – ho scritto in un appunto spirituale in IV^ superiore – Quando mi chiedono da dove provengo, rispondo con un nome di paese strano: “Provengo dallo sguardo di mio padre e mia madre come si arriva da un paese”». Tornassi indietro, lo riscriverei passo-passo: non sono nato a casaccio, è per questo che la mia storia è abitata da un significato profondo, non è una stramaledetta cosa dopo l’altra. Anche Cristo, il bell’Uomo in carne-e-ossa, vanta una doppia nascita: quella di Betlemme e quella di Gerusalemme. Nella grotta venne al mondo, nel Tempio fu chiarito a mamma e papà (al mondo) il motivo per il quale era venuto a piantare la tenda quaggiù: «Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, affinchè siano svelati i pensieri di molti cuori. Anche a te una spada trafiggerà l’anima».
Non venne, dunque, per insegnare l’arte della vittoria: preferì ammaestrare in presa diretta sull’arte opposta, quella della caduta. Insegnò, mostrandolo dal vivo, come si fa, quando un giorno si cadrà, a risorgere il giorno dopo. Una sorta di contraddizione al mondo: “Sei caduto? Adesso muori, schifoso. Ti sta bene!” Venne a costruire la pace, per questo si rifiutò di essere annoverato tra i pacifisti: Lui volle fare guerra, imbastì la più grande guerra al male mai vista prima. Andò in guerra contro la guerra, cioè fu un araldo di pace. Che, a ben guardare, il primo che Gli riconobbe tutto il suo valore fu l’avversario avverso, il Lucifero bastardo che non potè nulla contro il suo spirito di guerriero. Era per questo che era nato: per diventare segno di contraddizione. La sua vita, con il suo messaggio, fu la più contraddittoria di tutte: il morire per il nascere, servire per regnare, inginocchiarsi per alzarsi. “E’ la più grande contraddizione vivente!” dicono gli avversari di Lui. Senza accorgersi che stanno ammettendo il cuore della sua identità: «Mi contraddico? – scrive W. Whitman – Ebbene sì, mi contraddico. Sono vasto, contengo moltitudini». La contraddizione è, forse, un segno di falsità? La mancanza di contraddizione è un segno di verità? Ad imbestialirci, più che gli altri ci contraddicano, è che ci dimostrino che siamo noi a contraddirci: i proverbi si contraddicono, è in questo che giace la saggezza di un popolo.
La vita è contraddittoria, solo la bugia è coerente.
Cristo, dunque, è la contraddizione fatta carne: «Ogni cosa che vogliamo è contraddittoria – scrive S. Weil – con le conseguenze relative: ogni affermazione che noi pronunciamo implica l’affermazione contraria; tutti i nostri sentimenti sono confusi con i loro contrari». Siamo, dunque, un disastro d’anime, di corpi? Tutt’altro: «Siccome siamo creature siamo contraddizione: perchè siamo Dio e, al tempo stesso, infinitamente altro da Dio». Solo se ci contraddiciamo, dunque, possiamo affinare le nostre idee: la dimensione dello stupore nasce dal fatto che ci si contraddice a vicenda senza per questo annullarci. Contraddizione, infatti, non è incoerenza: è ostacolo, resistenza, opposizione. Impedimento all’incoerenza stessa. Venne, dunque, nel mondo per contraddire a-priori il Male che, dalla notte dei tempi, si diverte a comportarsi da gradasso, a fare il bullo a destra e a manca. Contrastarlo non sarà semplice manco per Il Dio-contraddizione. Per questo Simeone, svelandone la bellezza, non tacque la fatica: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima (Maria)». Fu contraddizione anche per sua Madre: pur madre, divenne Figlia del suo Figlio, imparando che il “figlio” e “madre” sono prestanomi di Dio, sono di Dio. Sarà tutta in salita la storia di Cristo, tra cadute, spade e contraddizioni. La storia della più grande salita: la risurrezione. Che, a ben pensarci, è la più grande delle contraddizioni possibili.
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui (Luca 2,22-40).
Dal 17 gennaio 2020, in tutte le librerie, il nuovo libro di Marco Pozza dal titolo “Il balzo maldestro” (San Paolo)
«Quella cristiana è la storia del riscatto da un sequestro: Satana sequestra l’uomo, Dio paga di persona per liberarlo. È una storia che si intreccia con l’autobiografia dell’autore, scandita da un’originale rilettura dei complementi di luogo imparati alla scuola elementare. Dal giardino dell’Eden alla gattabuia del Demonio, andata e ritorno, è l’indicazione dell’eterno viaggio della speranza. Poiché tutto può il demonio, ma non cancellare dal cuore la nostalgia di Dio. Nulla hanno ancora potuto stragi, graticole, ripicche: la sua memoria è dappertutto. Basterà poco, il bisbiglìo di un Mistero, per risvegliare nell’uomo il sapore del Cielo. Accadrà come per le anatre domestiche, al tempo delle migrazioni: attratte dal grande volo triangolare delle anatre selvatiche di passaggio, esse «abbozzano un balzo maldestro», disprezzando per un istante il pollaio. Seguendo questa intuizione, suggerita da quello straordinario maestro della narrazione che è Antoine de Saint-Exupéry, Marco Pozza, in questo suo nuovo libro ricchissimo di suggestioni, ci racconta una storia che parla di anatre, di gazzelle e di deserti. Di un sequestro e del suo riscatto. Di una Cittadella da (ri)costruire, oggi più che mai, nel cuore dell’uomo» (dalla quarta di copertina).
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